LE VERSIONI DE “IL TESORO”
di Tom Shippey
(traduzione di Alberto Quagliaroli del saggio pubblicato su Roots and Branches)
Nel 1923 Tolkien pubblicò una poesia su The Gryphon, la rivista del Leeds University Journal, con il titolo di ‘Iumonna Gold Galdre Bewunden’: questa versione della poesia si può trovare ora più facilmente a pp. 335-7 dell’edizione riveduta del The Annotated Hobbit (2002) di Douglas Anderson. Nel 1937 ripubblicò il poema con lo stesso titolo, ma in una versione significativamente differente, più lunga di otto versi e con una abbondante riscrittura interna, nel numero di Marzo di The Oxford Magazine (vol. 55, n° 15, p. 473). Venticinque anni più tardi [n.d.t. 1962] questa seconda versione della poesia, con pochi piccoli cambiamenti, fu ripubblicata in The Adventures of Tom Bombadil, come “Il Tesoro”. E nel 1970 la stessa poesia riapparve con lo stesso titolo nel Hamish Hamilton Book of Dragons di Roger Lancelyn Green, questa volta con un solo cambiamento, un evidente errore di battitura (anche se grossolano). In altre parole abbiamo due versioni di una poesia, con due titoli differenti, la seconda versione ristampata tre volte; ma, e questo confonde un po’, le tre ristampe della seconda versione hanno due titoli diversi, mentre la prima versione e la prima ristampa della seconda versione hanno lo stesso titolo.
A parte i problemi bibliografici, ci si può chiedere cosa ci possono dire di Tolkien le riscritture e i cambi di titolo della poesia.
Cominciando con la poesia, la struttura e il contenuto rimangono gli stessi in tutte le versioni. La poesia segue il percorso di un tesoro contenente oro e gioielli: nascosto dagli elfi, acquisito da un nano, razziato da un drago che uccide il nano, depredato da un guerriero che uccide il drago, perduto per sempre quando il possessore umano è ucciso dai suoi nemici. L’infelice destino dei possessori sembra verosimilmente causato dal tesoro stesso. In tutte le versioni la seconda, la terza e la quarta strofa cominciano: “C’era un vecchio nano/drago/re”, mentre la quinta comincia “C’era un antico tesoro”. Il vecchio drago era invece giovane alla fine della strofa 2, il vecchio re un giovane guerriero alla fine della strofa 3. Sono diventati vecchi possedendo il tesoro, e il tesoro li ha trasformati in sordi al rumore del pericolo incombente, avari, ossessivi, soli, la cui morte non viene rimpianta da nessuno. La storia assomiglia al racconto popolare degli uomini che uscirono alla ricerca della Morte, ma trovarono dell’oro al suo posto (non rendendosi conto che oro = Morte), che Chaucher narrò nel suo ‘Il racconto dell’indulgenziere’, e che è narrata in una diversa e ancor più tolkieniana versione da Kipling come ‘L’ankus del re’ ne Il secondo libro della giungla (1895). Questo tema è importante ne Lo Hobbit, in cui Smaug assomiglia al drago della strofa 3, ma in cui anche Thorin rimane sconvolto dal tesoro, che lo fa cadere nell’ingiustizia e quasi nel tradimento, ed anche il Governatore di Pontelagolungo soccombe alla “malattia del drago” e fugge con l’oro rubato, solo per morire di inedia nel Deserto1 (Hobbit, 248,272).
Tolkien tuttavia aveva una fonte più chiara per l’idea della ‘malattia del drago’, che è indicata dal titolo originale: ‘Iumonna Gold Galdre Bewunden’. Che significa ‘l’oro degli uomini di altri tempi (iu-monna) avvolti (bewunden) dall’incantesimo (galdre, dativo di galdor)’. La lingua è inglese antico, e la quattro parole sono tratte dal versetto 3052 del poema del Beowulf. Lì l’oro appartiene ad un drago: non ha un nome nel poema, ma è chiamato stearc-heort, ed io mi riferirò a lui come a Cuore-duro. Cuore-duro è ucciso da Beowulf, e il suo tesoro svuotato, situazione che in qualche modo corrisponde agli eventi della strofa 3 della poesia.
Ma Cuore-duro da chi aveva preso il tesoro? Secondo il Beowulf, il tesoro era un tempo proprietà degli ‘uomini antichi’, uno dei quali, ultimo della sua razza, lo nascose nella terra – almeno, ha sicuramente detto alla terra di tenerlo. Ma, dopo aver fatto un discorso che inizia con: ‘Tieni terra, ora gli eroi non possono, il tesoro dei conti […]’, questo Ultimo Sopravvissuto molto stranamente lascia che il tesoro possa essere trovato all’aperto (opene standan) da Cuore-duro (versetto 2271). Questo sembra molto strano. Chiunque nasconda un tesoro sa sicuramente che l’importante, avendo scavato una buca e avendovi depositato il tesoro, è che la buca va poi coperta! Il pensiero spesso è sovvenuto a molti lettori del Beowulf, che ricordano nelle storie scandinave di guerrieri il tema ‘sdraiarsi sul proprio oro e trasformarsi in un drago’, e questo forse è ciò che si riteneva potesse essere accaduto anche in Beowulf. L’ultimo sopravvissuto, un uomo, mette il suo tesoro in un tumulo, si corica su di esso, e diventa il drago. Questa è la ‘malattia del drago’ per te. È qualcosa che viene dall’oro, e dall’avidità, e che con il tempo trasformerà il più valoroso guerriero in un miserabile vecchio, o persino in un vecchio drago.
Questo non accade a Beowulf, poiché Beowulf è ucciso nel combattimento con il drago. Ma for-se stava cominciando ad accadere. Mentre sta morendo, Beowulf domanda al suo parente e seguace Wiglaf di portare l’oro fuori affinché egli possa guardarlo e morire più facilmente. Dopo che Beowulf muore, Wiglaf dice che tutti avevano cercato di dissuaderlo dal combattere con il drago, ma egli comunque non li avrebbe ascoltati. Wiglaf stesso rifiuta di avere a che fare con il tesoro, e ordina che sia bruciato insieme a Beowulf, cosicché alla fine ciò che è rimasto giace nella terra ‘inutile per gli uomini come lo era stato prima’ (eldum swa unnyt swa hit ӕror wӕs, versetto 3168).
Cos’è allora l’incantesimo (galdor) in cui l’oro era avvolto (bewunden)? Se aveva lo scopo di proteggere il tesoro, non sembra aver funzionato, Beowulf lo prese. Ma forse in realtà funzionò – se cioè, non aveva lo scopo di prevenire lo svuotamento del tesoro, ma doveva provocare rovina a coloro che lo avevano preso. C’è un altro passaggio nella poesia, appena pochi versetti dopo il versetto del titolo di Tolkien (3069-75) che dice qualcosa a questo proposito, anche se è molto difficile da capire. Il nocciolo è che gli uomini dei tempi antichi cui apparteneva il tesoro posero veramente una maledizione su chiunque lo profanasse; ma negli ultimi due versi sembra venga proposta una sorta di restrizione ai suoi effetti, come nel tentativo, difficile e incerto, di esentare Beowulf dalle sue conseguenze.
Il versetto nel poema epico in inglese antico che Tolkien utilizzò come titolo, con i suoi enigmi e problemi, di conseguenza sembra fornisca molti degli elementi del tema della sua poesia: cambio di possesso, trasformazione del possessore, ‘malattia del drago’, una inevitabile (?) maledizione. Si potrebbe dire che il rifiuto determinato dell’oro da parte di Wiglaf nel Beowulf, fornisca un elemento vitale nell’intreccio di fondo de Il Signore degli Anelli; qualcosa che può apparentemente essere usato per il bene (il tesoro, l’Anello), ma che tuttavia deve essere rifiutato per quello che causerà all’utilizzatore. Certamente Tolkien non dimenticò mai il versetto e il contesto. Ne Lo Hobbit i nani seppelliscono il tesoro dei Trolls, ma gettano un incantesimo su di esso per tenerlo al sicuro; come è stato detto, fa Smaug. Thorin e il Governatore di Pontelagolungo sono entrambi colpiti dalla ‘malattia del drago’; all’inizio de Le Due Torri Aragorn dice che le spade di Pipino e a Merry prese allo spettro dei tumuli2, sono “avvolte di incantesimi”3 per la sconfitta di Mordor, come sarà naturalmente estremamente significativo più avanti.
Il primo titolo per questa poesia, allora, era un ottimo titolo. Perché Tolkien l’ha cambiato? Qualcuno potrebbe pensare che sembrasse troppo astruso per l’audience più estesa de Le Avventure di Tom Bombadil. Ma avendo affrontato il tema della poesia, e i cambi di titolo, ci si può domandare cosa ci possono dire le riscritture, specialmente quella più consistente del 1937.
Comincerò dicendo che, poiché la versione della poesia del 1962 ne Le Avventure di Tom Bombadil è quella posseduta probabilmente dal maggior numero di persone, userò quella come testo-base indicando solo i cambiamenti rispetto ad essa. Per dirla in breve, le relativamente minori differenze tra il 1937 e il 1962 sono quelle nella prima delle due versioni; il versetto 7 ha ‘Elfi’ senza maiuscola; il versetto 10 manca della prima parola “e”; il versetto 29 termina con un punto e virgola e non con un punto; il versetto 37 comincia con “con” non con “in”; il versetto 60 comincia con “le cui”4, non “le sue”; e gli ultimi due versetti, 75-6, sono stati completamente riscritti: nella versione del 1937 è la terra che conserva il segreto, non la notte, come vedremo in seguito. Mentre, la versione del 1970 è uguale a quella del 1962, con l’eccezione del disastroso errore tipografico nel versetto 64 di “fold” per “gold” [n.d.t. piega, per esempio, per “fold”, e oro, ovviamente per “gold”5]. Tolkien mantenne quel versetto molto simile dal 1923, ma non sopravvisse alla stampa nel testo di Roger Lancelyn Green. (Con la sua esperienza dei tipografi, non sorprende che Tolkien fosse un audace correttore di antichi testi come l’Esodo. Sapeva che accurate trascritture erano eccezioni piuttosto che regole).
Venendo alla più grandi differenze tra la versione del 1923 (che chiamerò ‘G’ per ‘Gryphon’) e tutte le altre (d’ora innanzi, ‘AO’), la principale è che G ha 68 versetti, divisi in cinque strofe di 12/14/16/16 e 10 versetti; mentre AO ha 76 versetti, divisi in 16/16/20/16 e 8 versetti. Prenderò in considerazione una strofa per volta.
Strofa 1. I 16 versetti di AO possono essere divisi in 4/6/6. Nei primi 4 versetti, “gli dei” disseminano la terra di argento e oro; nei successivi 6 gli elfi foggiano tesori dal metallo, in un periodo antecedente alla generazione dei nani; negli ultimi 6 il destino e l’ombra cadono sugli elfi. Questa strofa può essere inserita nella ormai (1937) sviluppata mitologia di Tolkien. Gli “dei” sono i Valar, il tempo in cui sole e luna sono nuovi deve essere dopo la distruzione dei Due Alberi, e gli elfi che foggiano tesori tra le verdi colline potrebbero essere i figli di Fëanor nel loro nuovo reame dell’Eriador. I lettori si potrebbero scusare, tuttavia, per non capire cosa succede ai personaggi, o come i tesori passino dagli elfi ai nani che li posseggono nella strofa successiva. Gli elfi sono stati abbattuti dal “ferro” e incatenati con “acciaio”, ma l’unico agente identificato è l’astrazione “Avidità”, che potrebbe andar bene per chiunque o per qualsiasi cosa: draghi, nani, agenti di Melkor. La storia più significativa ne Il Silmarillion è forse il racconto della guerra tra elfi e nani nel capitolo 22, in cui i nani rubano il tesoro di Thingol – anche se, dato che sono successivamente intercettati da Beren e il saccheggio fallisce, poesia e narrativa non corrispondono completamente.
Invece, G divide questa strofa in 6/2/4 e non vi vengono menzionati ‘gli dei’. La poesia comincia con gli elfi che cantano mentre lavorano l’oro (in effetti i versetti 1-2 di G sono sostanzialmente gli stessi dei versetti 7-8 di AO, ed esprimono praticamente la stessa idea). 7-8 di G sono un po’ sbrigativi: i versetti dicono solo che c’erano uomini che impararono dagli elfi, quantunque questi uomini non giochino più alcun ruolo nella prosecuzione della poesia. Gli ultimi quattro versetti di entrambe le versioni non chiariscono chi o che cosa porta vie i tesori ai propri “buchi”.
Strofa 2. AO divide la strofa in 6/4/6 gruppi di versetti. Il vecchio nano lavora nella sua caverna; l’età comincia a travolgerlo; non ode arrivare il “giovane drago”. In G la divisione è 4/4/6. I primi 4 versetti chiariscono meglio che l’oro del nano è “stato rubato da uomini ed elfi”. I 4 versetti intermedi sono sostanzialmente simili in entrambe le versioni. Gli ultimi 6 versetti per lo meno raccontano la stessa storia, ma con considerevoli cambiamenti di enfasi: G è più interessato a sottolineare la morale, cioè che il nano viene tradito dalla sua stessa ossessione per ciò che aveva rubato. “La sua speranza era nell’oro e nei gioielli confidava”, in tal modo sembra che venga punito dal drago per il suo crimine contro uomini ed elfi; mentre in AO questi versetti sono più laconici e vaghi.
Strofa 3. Dividerei questa strofa in 10/4/6, I primi dieci versetti concentrati sul drago, vecchio, ricurvo, raggrinzito e in procinto di perdere il suo fuoco, ben consapevole di ogni singolo oggetto che possiede. I versetti 11-14 ci parlano della paura e dell’ostilità dei ladri. I versetti 15-20 ci presentano il drago, come il nano, che non ode lo sfidante che viene per il suo tesoro. G è meno facile da dividere. I primi 12 versetti conducono con maggior continuità dall’immagine del vecchio drago all’ostilità dei ladri; una volta in più la morale assume maggior rilievo, con un commento esplicito alla smodata “avidità” per l’oro e alla mancanza di “pietà” del drago. Un tratto che entrambe le versioni condividono con Beowulf è che lo sfidante grida per attirare il drago fuori dalla sua tana. D’altra parte, diversamente dal Beowulf, il guerriero è giovane, non è stato abbandonato dai suoi compagni, e non viene ucciso nel combattimento, ed infine è motivato soltanto dal desiderio per il tesoro, non dalla vendetta e dalla necessità di proteggere la sua gente.
Strofa 4. Questa strofa è molto simile in G ed AO. Per esempio, tutte le parole in rima sono identiche. C'è tuttavia una serie di cambiamenti di termini nei versetti, come per esempio nel versetto 8, dove “possente” in G diventa “forte” in AO, o il versetto 10, “offuscata” in G e “caduta” in AO. Nel versetto 12 il G di “elfin” diventa “elvish” in AO6: si può così notare come Tolkien diviene col tempo più attento alla filologia della sua mitopoiesi (‘elfin’, o peggio, ‘elphin’, essendo forme non-medievali e storicamente scorrette). Un altro elemento di distinzione è che AO è diventato marcatamente più corto nella lunghezza dei versetti di G, attraverso la soppressione di parole come “era7” e la congiunzione “e”. In AO anche gli ultimi due versetti di ognuna delle parti intermedie delle strofe sono quasi completamente monosillabici e paratattici (cioè, connessi solo da “e” o da “ma”). G usa parole più lunghe, versetti più lunghi, e (due volte) il connettivo “ancora”8. L’effetto creato in AO è molto più brusco, costruendo il contrasto tra le ricchezze accumulate e per le quali si è combattuto e l’incauta trascuratezza dei loro proprietari.
Strofa 5. L’ironia della strofa 4 è naturalmente riferibile al vecchio re che muore senza dire a nessuno dove è stato nascosto il suo tesoro, cosicché questa volta il tesoro non passa di mano. Nella strofa 5 G e AO divergono ancora, G per una volta più lungo, dieci versetti contro otto. G è anche più ottimista e più cinico. In AO il tesoro aspetta nel tumulo, e lo farà fintanto che gli elfi “dormiranno”; non ci sono indizi su quanto tempo passerà o se addirittura vi sarà un risveglio. In G gli ultimi quattro versetti immaginano un ritorno trionfale, quando torneranno coloro che hanno forgiato e raccolto il tesoro, “Le luci di Fata9” ardono ancora, “E i canti ridotti al silenzio da tempo di nuovo si leveranno”10. L’ultima parola di G è, dunque, “levarsi”, mentre nelle versione del 1962 e del 1970 è “dormire”. Nella versione del 1937, tuttavia, il cambiamento è meno pronunciato, perché sebbene l'ultima coppia di rime utilizzi le stesse parole, ha un ordine inverso rispetto al 1962/1970. Nel 1937 si legge: “Mentre gli dei attendono e gli elfi dormono,/ i suoi antichi segreti la terra conserverà”; invece 1962/1070 hanno: “L’antico tesoro la Notte conserverà/ mentre la terra attende e gli Elfi dormono”. Nel 1962/1970, sono anche stati eliminati “gli dei”. Nel 1937 sono gli dei che attendono e la terra che conserva il segreto; nel 1962/1970 è la terra che attende e la notte che conserva il segreto.
Comparare le due versioni ancor più da vicino fa emergere un ulteriore elemento, cioè che, come accade spesso, lo schema metrico di tutte le versioni di questa poesia è molto più complesso di quanto sembri. La poesia è scritta in rime baciate, e ad un primo sguardo si potrebbe pensare che sia un pentametro giambico, la metrica più comune della lingua inglese. Ma in effetti non è in pentameri. La lunghezza dei versetti in AO varia da 6 a 10 sillabe (11 in G), ma la lunghezza dei versetti più comune è 9 sillabe, seguita in frequenza da 8. I versetti di nove sillabe sono insoliti nella poesia inglese moderna, tanto più che Tolkien qui non usa mai la rima ‘femminile’, cioè, la rima che agisce sulle ultime due sillabe, come in ‘tower/power’ o ‘nation/station’11. È probabile che una migliore descrizione della metrica di questa poesia sia dire che (come nei poemi in antico inglese) ogni versetto consiste di due semi-versetti, con una molto marcata interruzione o cesura, dato che ogni semi-versetto consta di quattro o cinque sillabe (raramente tre), ma ogni semi-versetto contenente anche due forti tensioni, spesso in sillabe consecutive. In breve è basato su un conteggio di tensioni, piuttosto che di sillabe, ed in questo modo è molto più simile alla tradizione autoctona della poesia, piuttosto che alla tradizione acquisita dal francese.
I vantaggi di questa modalità sono: (1) maggiore flessibilità e (2) maggiore concisione. È chiaro, se si comparano le versioni, che Tolkien lavorò intenzionalmente per accrescere l’ultimo effetto. L’intera poesia è abbastanza insolitamente monosillabica – AO contiene solo tre parole in rima che non siano monosillabiche, “unseen”, “unjust” e “unlock”12, mentre G ne ha sette. Tanto per completare il parallelo con l’antico inglese, il prefisso ‘un-’ nei tre casi di AO sarebbe da considerare nella metrica dell’antico inglese, come una anacrusi, cioè uno del piccolo gruppo di prefissi che in certi casi ‘non conta’ nella metrica. Tolkien stava scrivendo un soggetto di antico inglese con un linguaggio da antico inglese, e utilizzando qualcosa di simile alla metrica dell’antico inglese, come per mostrare che potrebbe ancora essere possibile farlo.
Le riscritture da parte di Tolkien delle sue prime poesie sono sembrate significative in varie occasioni, a me e ad altri critici: ho commentato per esempio la accurata riscrittura di ‘Firiel’ (1934) come ‘L’ultima nave’ in Le Avventure di Tom Bombadil, di ‘Looney’ [=pazzo] (1934) come ‘La campana del mare’ nella stessa raccolta di ‘Light as Leaf on Lindentree’ [=Leggero come foglia su Lindentree] (1925) come il canto di Aragorn su Beren ne La compagnia dell’Anello (vedasi Shippey 2003a: 281-5, 194-5). Le riscritture di ‘Iumonna Gold’ mi sembrano similari. Caratteristico è il cambiamento dell’ultima parola ‘levarsi’ con il suo opposto ‘dormire’13 – da paragonare alla modifica della parola “sorrowless”[=senza dolore] dalla fine della penultima strofa in ‘Light as Leaf’ [=Leggero come foglia] all’ultimissima parola della poesia nel canto di Aragorn.
Si possono notare anche il profondo interesse di Tolkien per la metrica e il suo desiderio di ravvivare antiche tradizioni narrative che riteneva più adatte alla essenziale natura del linguaggio di quanto non siano forme moderne. Allo stesso modo si può vedere, sotto diversi aspetti, quanto migliore di G sia il testo di AO, e come Tolkien non smise di migliorare il testo del 1937 persino nel 1962.
Un altro tratto del tutto caratteristico è il modo in cui l’immaginazione di Tolkien era innescata dai problemi testuali, o da serie di problemi già notati da molti studiosi, che però li avevano trattati come puri problemi testuali, senza che nemmeno uno di loro proponesse sia una spiegazione mitologica (un uomo che si trasforma in drago) che un significato relativo al mondo reale (‘malattia del drago’ come una patologia del possesso). Una considerazione conclusiva che si può trarre, è che Tolkien pur rimanendo sempre profondamente fedele alle sue originali concezioni, aveva tuttavia la capacità di continuare ad affinarle nella prosa e nella poesia, come in questo caso almeno per quarant’anni.
N.d.t., qui ho usato il termine con cui nella versione italiana è stato tradotto ‘Waste’.
N.d.t, questa è l’espressione che si trova nella prima traduzione de Il Signore degli Anelli. Nella nuova traduzione de Il Signore degli Anelli (per es. cf. J.R.R. Tolkien, Il Signore degli Anelli, Giunti Editore S.p.a/Bompiani, Firenze-Milano Ottobre 2020, p. 158) il termine Barrow-wight, è stato tradotto con “Essere dei Tumuli”.
N.d.t., in J.R.R. Tolkien, Il Signore degli Anelli, Giunti Editore S.p.a/Bompiani, Firenze-Milano Ottobre 2020, p. 442, la frase viene tradotta con: “carichi di incantesimi [per la rovina di Mordor]”.
N.d.t. Il testo originale (il primo citato da Shippey) con “whose”, che ho reso con ”le cui”, risulta così: “in secret treasury in the dark ground;/whose strong doors were iron-bound; il testo con “its”, che ho reso con “le sue”, risulta invece così: “in secret treasury in the dark ground;/its strong doors were iron-bound.”
N.d.t. si tratta di qualcosa da applicare a “elfico”: “but king he was of elvish gold.”(appunto, versetto 64), ove fold in italiano potrebbe essere, per esempio, piega, ovile, gregge, battente ecc., e piega, ovile, gregge ecc. elfico è evidentemente risibile.
N.d.t. In questo caso tradurre i due termini in italiano sarebbe inutile dato che per entrambi si userebbe “elfico”.
N.d.t. “was” può essere anche, ovviamente: “fu”.
N.d.t., non avendo a disposizione il testo G, non sono in grado di trovare i punti in cui “yet” è utilizzato; tuttavia, dato che Shippey parla di ‘connettivo’ [verosimilmente: ‘connettivo linguistico’, cf. https://www.treccani.it/enciclopedia/connettivi_(Enciclopedia-dell%27Italiano)/ ], ne desumo che si tratti di “yet” usato come ‘ancora’.
N.d.t. Nonostante Tolkien usi Faery, fata, in questa poesia, guardando al contesto si potrebbe forse usare anche il termine Feeria, con cui era stato tradotto Faerie, il ‘mondo secondario’ delle fiabe (o dei racconti fantastici), nella traduzione italiana di On Fairy-stories, Sulle fiabe.
N.d.t. Anticipo in parte quanto nell’articolo si dirà tra qualche riga. In inglese l’ultimo versetto di G recita così: “And songs long silent once more awake”, mentre in AO (versione del 1970, testo non presente nell’articolo di Shippey), l’ultimo versetto è: “while earth waits and the Elves sleep.”
N.d.t. per capire era necessario qui conservare i termini in inglese, ovviamente, che, come gran parte dei lettori di questa traduzione saprà, significano: torre/potere e nazione/stazione.
N.d.t. anche qui traduco, in nota, in italiano: “non visto”, “ingiusto”, e “aprire”.
N.d.t. Già visto in precedenza, vedasi anche nota 10 e testo appena successivo al riferimento.