L'Antropologia Filosofica di Tolkien
di Patrick Curry
(traduzione di Gianni Cavallari)
Questo documento si compone di due parti, una principale seguita da una secondaria. La principale presenta e tratta un contributo positivo che la narrativa di Tolkien può dare alla nostra comprensione della natura umana. La secondaria affronta una critica della narrativa di Tolkien per ciò che sottintende la natura umana.
Innanzitutto una nota sull'antropologia filosofica. Intendo nel senso generalmente accettato del comprendere la natura umana, prendendo alcuni dei suoi dati dall'antropologia empirica ma, a differenza di quest'ultima, apertamente orientata filosoficamente. E' ovvio che qualsiasi tentativo di questo tipo è fondato su un concetto sostenibile di natura umana come tale. Non utilizzerò in questo senso il mio tempo limitato, se non per citare l'opinione, espressa verso la fine della sua esistenza, da Paul Feyerabend, il famoso epistemiologo anarchico e difensore del pluralismo: "Sono giunto alla conclusione che qualsiasi cultura è potenzialmente tutte le culture e che le caratteristiche culturali peculiari sono manifestazioni mutevoli di una singola natura umana." [1]
Vorrei aggiungere che quanto sopra non vorrebbe (e non dovrebbe) sostenere un’idea di natura umana come essenza eterna e immutabile, ma solo come sufficientemente stabile e coerente per avallare tutti i nostri fini. E, sebbene sia notoriamente difficile specificare i limiti esatti della natura umana, non ne consegue che non ce ne sia nessuno. In verità, l’idea che non ce ne sia nessuno, che la natura umana sia infinitamente plastica e che, per noi, i limiti siano opzionali, mi colpisce come una nozione completamente non plausibile e persino dannosa, come pure insopportabilmente presuntuosa.
Uno dei molti aspetti straordinari del mondo immaginario della Terra di Mezzo (Arda) di J.R.R.Tolkien è la varietà di “razze” cioè di specie di esseri senzienti o, se preferite, razionali, in essa contenuta: Elfi, Nani, “Uomini”, cioè umani (compreso i relativamente diversi Druadain), Hobbit, Alberi parlanti, Orchi, Trolls e Maiar (Sauron, i Maghi [Istari], probabilmente il Balrog di Moria e verosimilmente Tom Bombadil).
Tutti questi possono essere presi in considerazione sotto due aspetti. Il primo, è il riconoscere a ogni specie il suo pieno tratto distintivo: l'ethos unico, le qualità particolari e le caratteristiche durevoli che vengono portate avanti nella storia. Il secondo è il considerarli come aspetti differenti della natura umana. Ritengo che entrambi gli approcci siano validi finchè resistiamo alla tentazione di utilizzare il secondo per ridurre il primo. Il che risulterebbe in una sorta di allegorizzazione della stessa storia, per vedere cosa riusciamo a capire circa la natura umana o circa l’idea di Tolkien della natura umana, cosa che lui disapprovava energicamente[2]. E in maniera legittima, poiché consegnerebbe la storia e le sue ricche possibilità di applicabilità nelle mani dei suoi nemici strumentalisti. Per questo motivo tutto il mio lavoro su Tolkien è basato sulla validità dell’applicabilità che, per quotare Tolkien “risiede nella libertà del lettore” [3]. Di conseguenza non troverete molto su “fonti” o “influenze”, ma troverete un’inflessibile, largamente implicita, difesa della libertà del lettore. Pertanto è più prudente, per così dire, vedere soltanto ogni “razza” come autonoma. Ma vorrei intraprendere la strada meno battuta -la prospettiva della natura umana- e percorrerla responsabilmente. C’è la legittimazione nelle lettere di Tolkien par far ciò. Egli scrive che “se fossimo spinti a razionalizzare, direi che essi [gli Elfi] rappresentano realmente degli Uomini [cioè umani] con facoltà estetiche e creative grandemente potenziate: maggior bellezza, vita più lunga e maggior nobiltà…”[4] E, altrove: “Gli Elfi hanno certi aspetti degli Uomini, i loro talenti e desideri incarnati nel mio piccolo mondo”.[5]
Egli scrive anche che "Gli Hobbits sono realmente destinati a essere specificamente un ramo della razza umana..." e ancora, che essi sono "Un minuscolo ramo della razza umana" Non sembra quindi una forzatura sostenere che se gli hobbits sono un tipo di umani essi condividano la natura umana.
Non propongo di cercare di discutere tutte le "razze" della Terra di Mezzo. Piuttosto voglio concentrarmi su tre, o su certi aspetti di tre razze: gli Elfi, Sauron il Maia e gli Hobbits. Il motivo è che scorgo un disegno che le connette tutte e tre e che offre una valida visione filosofica -metafisica, morale e persino normativa- della natura umana.
Gli Elfi
Gli Elfi di Tolkien sono unici nella letteratura fantastica. Il mio resoconto degli Elfi è parziale, come precisato dal mio argomento, ma ogni resoconto deve iniziare con il prendere sul serio quanto Tolkien volesse li prendessimo sul serio: non le creature "stupide o carine" di stampo Shakespiriano o Vittoriano ma una razza nobile e bella, i Figli più vecchi del mondo...le Genti del Grande Viaggio, il Popolo delle Stelle. Erano alti, di carnagione chiara, dagli occhi grigi sebbene i loro riccioli fossero scuri...e le loro voci fossero più melodiose di qualsiasi altra voce mortale fino ad allora udita..."(7)
L'aspetto più importante degli Elfi, di cui qui ci occupiamo, è anche il più ovvio. Gli Elfi sono degli esempi di Faerie, termine di Tolkien per l' incantesimo come luogo, che è uno stato interiore e allo stesso tempo un ambito (sfera) esterno dove tutto e tutte le cose che sono incantate" hanno il loro esistere". Faerie è così controcorrente, per così dire, rispetto alla consacrata distinzione , prima proposta da Parmenide e (così influentemente) da Platone, e successivamente perfezionata e riapplicata da Cartesio, tra "soggettivo" e "oggettivo", da esserne senza ombra di dubbio entrambi.
Fondamentale alla comprensione è il contrasto tra incantesimo e magia. Il primo è pura meraviglia esistenziale, e nella misura in cui c'è un desiderio validamente associato ad esso, è il desiderio dell'artista di raggiungere "la realizzazione...della meraviglia immaginata".[8] Magia, per contro, "produce o finge di produrre un'alterazione nel Mondo Primario...non è un'arte ma una tecnica; il suo desiderio è potere in questo mondo, è dominio sulle cose e sulle volontà".[9] E in un'altra lettera Tolkien commenta che "Gli Elfi sono lì (nelle mie storie) per dimostrare la differenza tra i due", cioè, tra magia e incantesimo.[10]
A questo punto potremmo essere fuorviati dalla nostra lunga formazione intellettuale, originariamente Platonica ma, più ultimamente, moderna, a distinguere impulsivamente tra spirituale- più recentemente, psicologica e/o culturale- e materiale intesa come essenze e processi scientificamente naturalizzati. Questo ci renderebbe propensi a vedere l'incantesimo (e forse anche la magia) come un esempio della prima, cioè spirituale. Ma Tolkien insisteva che gli Elfi non sono supernaturali: "essi sono naturali, molto più naturali degli [umani]"[11] In altre parole, la loro spiritualità è immanente nel mondo, non trascendente, e pertanto in alcun modo opposta ad esso. Questo punto ci consente di apprezzare l'affinità elettiva degli Elfi e del mondo vivente naturale superumano. Tolkien descrive il loro " più antico movente" come "l'ornamento della terra, e la cura dei suoi mali"[12]. Lothlorien, "il cuore di Elvendom sulla terra", è una foresta[13] E gli Elfi sono spesso descritti come immortali, il che ha qualche giustificazione, poichè essi vivono molto ma molto più a lungo degli umani. Ma ciò non è completamente vero, poichè le loro vite, anche se non vengono uccisi, non durano in eterno ma sono "strettamente" co-estese con la vita di Arda [la terra], pertanto quando alla fine muoiono essi non passano, come gli umani," aldilà dei cerchi del mondo". Perciò era realmente un certo tipo di longevità che Tolkien metteva in contrasto con la 'vera"immortalità" [14]. (Ritornerò poi su questo punto).
Sauron
Ora, l'ovvio complemento corrispondente dell'incantesimo Elfico nel mondo fantastico di Tolkien è la magia di Sauron, il più grande e più potente mago e (allo stesso modo) tecnologo della Terra di Mezzo. Tolkien lo descrive come "Il Signore della magia e delle macchine".[15] Questo contrasto è reso concretamente nei Tre Anelli degli Elfi e nell' Unico Anello di Sauron: e a buon motivo noi li consideriamo in termini molto diversi: i Tre, tutti guarigione, protezione, nutrimento, e l'Unico, tutto potere e spietato dominio. Ma è impossibile ignorare il fatto che sebbene Celebrimbor creò i Tre senza il diretto coinvolgimento di Sauron, lo fece solo dopo la loro collaborazione. E naturalmente quando l'Unico fu distrutto, anche i Tre necessariamente perirono e, pertanto, ci deve essere qualche relazione interna. In maniera correlata, sebbene i loro scopi e i loro mezzi differiscano davvero, l'Unico e i Tre condividono una caratteristica essenziale: estendono la longevità.
Come lo faccia L'Unico Anello , dando luogo a quello che Tolkien chiama "la vita eterna di serie " o "la illimitata longevità di serie", si capisce naturalmente nelle apparizioni dell'anello, (ringwraights) ma anche in Gollum, per il quale la morte non è trascendente o sconfitta, ma semplicemente posticipata all'infinito finchè la vita non divenga un terribile consumarsi e la morte sia tanto agognata quanto temuta.[16] Tolkien avvisa circa il detestabile pericolo " di confondere la vera immortalità, che non esiste altrove se non solamente nell'aldilà della morte, con questo necrotrico simulacro.[17] Lungi dall'ascoltare l'avvertimento, alcuni umani -transumanisti, ad esser precisi- sono all'appassionata ricerca solo di questo risultato.[18]
Tutto questo è ben noto. Ciò che spesso è meno compreso è che Tolkien era anche critrico circa la cosiddetta immortalità elfica come un modello, persino di ammirazione, per gli umani.
E qui sono grato ad una discussione con Franco Manni. La tentazione che dobbiamo cercare di evitare relativamente agli Elfi - e di conseguenza, anche agli umani, è, come dice lui, non di aver più tempo, ma di fermarlo. [19] E , come si addice ad ogni grande Anello, persino ai Tre, c'è un potere coinvolto: quello di fermare il mutamento, compreso l'invecchiare, "per mantenere le cose sempre pure e giuste".[20]] Ma con la fine del culmine del potere dell’Unico anello, Tolkien dice, “il loro piccolo sforzo di preservare il passato si sgretola” come era inesorabilmente destino.[21] In breve, ne la longevità dell’Unico(drammaticamente) ne quella dei Tre (più sottilmente) sono ideali umani appropriati, ne desiderabili. Ne, tanto meno, completamente opposti. Invece, il contrasto più radicale è tra la longevità tout court, sia essa di Sauron o degli Elfi, e la vera immortalità. Solo quest'ultima è appropriata e desiderabile per gli umani anche se viene accompagnata da un ovvio e potenzialmente scioccante paradosso: come nota Manni, essa "coincide con la morte".[22] Essere mortale, per noi, non è solo verosimilmente un prerequisito per passare al di là nei "cerchi del mondo"; ma è piuttosto la stessa cosa.
Gli Hobbits
Non posso andar oltre in questa direzione. Ma che dire degli Hobbit? Nonostante l'incongruenza del loro umile, persino comico, stato con queste grandiose questioni di vita o di morte, la loro collocazione centrale nella storia di Tolkien suggerisce comunque verosimilmente un potente significato. E qui sono nuovamente in debito, questa volta con il libro di Jan Zwicky Lyric Philosophy nel quale (condensando imperdonabilmente) ella lascia intendere che gli umani condividono equamente il lirismo che è praticamente affine (analogo) all'incantesimo e il tecnologico: il metodo di appropriazione, manipolazione e sfruttamento. (E, come ho fatto notare, ciò esclude l'incantesimo ma non la magia).
Il severo anti-modernismo di Tolkien l'ha portato a proporre questo metodo quasi interamente a Mordor, l'unico stato così patologicamente moderno nella Terra di Mezzo . Zwicky riconosce il suo potenziale umano sia per il bene che per il male. Tuttavia, il suo significato più profondo è che non possiamo vivere perennemente o completamente in modo lirico - Faerie- o in modo strumentale. Cioè non essendo o diventando completamente umani (credo sia possibile diventare sia meno che più umani).
La condizione e il campo dove noi umani possiamo vivere e dovremmo aspirare a vivere, è una terza modalità che lei chiama "domestica" Il modo domestico accetta la tensione essenziale tra il desiderio lirico e la capacità per la tecnologia. In questa accettazione, essa media. " [23] Inoltre, "La Domesticità vive senza assoluti- incluso la chiarezza assoluta."[24] La modalità domestica quindi accetta l'imperfezione e, nel far questo, apre la porta, almeno, a trovare nell'imperfezione un errato ma vibrante tipo di perfezione paradossale, forse l'unica possibile per noi, un genere memorabilmente racchiuso da Leonard Cohen in: "Suonate le campane che possono ancora suonare/dimenticate la vostra offerta perfetta/ C'è una crepa, una crepa in ogni cosa/ E' così che entra la luce".[25]
Dovrebbe essere chiaro dove voglio arrivare con ciò, perchè cosa sono gli Hobbits se non esseri domestici ?[26] La famiglia (e pertanto la genealogia) è tremendamente importante come lo sono il cibo e le comodità; le attività pratiche hanno la precedenza sull'arte; la natura viene rispettata e utilizzata al bisogno ma non sfruttata: la filosofia di vita dominante è il vero tradizionalismo: non reazionario ma cauto, persino sospettoso, del cambiamento (certamente quel tratto caratteristico della modernità, il cambiambiamento per il suo stesso bene) e dell'accettazione della realtà dei limiti. L'anima o lo spirito sono fermamente incarnati. E il racconto di Tolkien termina, apertamente e intensamente con, Sam, "l'Hobbit più rappresentativo del libro", come l'ha descritto Tolkien[27], non passando sopra il mare di Elvenhome ma ritornando a casa dalla moglie, dal figlio, al fuoco e al pasto della sera nella Terra di Mezzo.
Ecco il nostro modello umano. Ma non è come gli Hobbits siano umani che conta, ma piuttosto quanto gli umani siano potenzialmente degli Hobbits, e in un certo qual modo, perdippiù, come ciò possa avere conseguenze molto positive. In un mondo devastato dalla follia ecologica, politica, sociale e culturale e da una preoccupante mancanza di autocontrollo individuale e collettivo, non penso io debba spiegarne esplicitamente il perchè. E in fondo al loro cuore c'è un'accettazione dell'estrema imperfezione e dell'estremo limite - la morte - assieme alla possibilità della vera immortalità. Per tale motivo, tuttavia, certamente per "i non credenti" e forse anche per i "veri credenti", abbiamo solo, nella significativa frase di Tolkien, "La speranza senza garanzie".[28] E anche questa imperfezione deve essere accettata.
In questa breve parte restante, voglio prendere in considerazione la recente accusa occasionale che la narrativa di Tolkien sia affetta da razzismo - qualcosa che potrebbe , se veritiera, minare realmente il suo contributo potenziale ad una antropologia umana filosofica. I migliori candidati per un problema intricato relativo a tale razzismo sono, naturalmente, gli Orchi. Con tutte le altre razze nella Terra di Mezzo la differenza individuale alla fine sconfigge le caratteristiche di gruppo. Anche quando quest'ultime sono in gioco, come esse vengano manifestate varia ampiamente tra le persone. Ma gli Orchi sono, di per sè, irrecuperabili. Ma lo sono veramente? Nel Signore degli Anelli essi diventano inevitabilmente più individui litigando tra loro, esprimendo timore e disgusto nei confronti dei Nazgul, e impegnandosi in un cameratismo maschile ("I compagni"). E questa incostanza rende di certo gli Orchi meno genericamente malvagi e più mutevoli, proprio come le altre razze.
Essi non hanno nemmeno la pelle uniformemente scura. Alcuni l'avevano - gli Uruks di Mordor- ma Tolkien li descrive generalmente dalla pelle giallastra che il Chambers Dictionay definisce come "di un colore giallastro pallido" Possiamo inoltre ricordare il rifiuto deliberato e di principio di una allegoria semplicistica, in cui gli Orchi "siano", o persino "assomiglino" ai neri.
Tuttavia, allo stesso tempo, è impossibile non essere colpiti dal fatto che Gandalf Il (veramente) Bianco, l'accecante luce bianca della fiala di Galadriel, la Bianca Signora di Rohan e così via, in contrapposizione alla Terra Nera, La Lingua Nera, I Cavalieri Neri etc. C'è sicuramente un disegno in atto, e forse un problema, sebbene non neccessariamente uno che implichi la razza.
Piuttosto è parte di una valutazione morale profondamente radicata nella cultura "Occidentale" che comprende fortemente polarizzazioni su scala di valori gerarchici con il primo termine apprezzato sul secondo: la luce contro le tenebre, l'alto contro il basso, l'interiore contro l'esteriore, la cultura contro la natura e il maschile contro il femminile[30]. Gli effetti tossici di queste valutazioni sulla razza, il genere, la classe e oltre, sono stati e rimangono considerevoli. Tuttavia, data la loro ubiquità e antichità- almeno a partire da Platone, e amplificati cento volte dalla teologia Cristiana- sarebbe stato molto difficile, se non impossibile, per Tolkien non utilizzarli. E se i lettori li accettano acriticamente, allora potrebbe realmente esserci un problema con la cosmologia morale di Tolkien.
Ma ciò è un rischio, non un risultato ineluttabile, e io personalmente ritengo che in questo caso, è un prezzo che vale la pena pagare. Altrimenti non ci sarebbe stata alcuna storia.
C'è un collegamento tra le due parti di questo articolo? Gli effetti falsanti e devastanti di queste polarità cariche di valori dipendono dal fatto che esse vengano tenute separate, con la prima parte incontaminata dalla seconda. Ma l'opera di Tolkien ci ricorda che proprio come l'Incarnazione ha sovvertito tale polarità- il sommo divino diventa un essere singolare, limitato, vulnerabile - così la Crocifissione e la Resurrezione forse sovvertono la polarità definitiva: vita e morte ( ovvero finchè nessuna delle due è contenuta nell'altra.)
Personalmente posso solo sperare che il valore simbolico di questa conclusione si estenda oltre la sua origine formalmente Cristiana. E che la speranza ci riporti all'imperfezione e all'incertezza.