“Tolkien e la Filosofia” alla libreria Bookstop di Brescia
di Adriano Bernasconi
21 gennaio 2012. Quando arrivo al Bookstop di Brescia alle xx di sera ci sono già molte persone: alcuni sorseggiano un caffè al bancone, altri ordinano un aperitivo, altri ancora sfogliano i libri prendendoli dagli scaffali. L’ambiente è piccolo, caldo e confortevole e non ci vuol molto affinché diventi gremito di persone.
Alle xx salgono su un palco preparato per l’occasione il professor Franco Manni e Claudio Testi, uno dei fondatori dell’Istituto Filosofico di Studi Tomistici di Modena. Entrambi hanno lavorato al libro Tolkien e la filosofia, il primo come co-autore e il secondo come curatore. Il volume raccoglie gli interventi di vari studiosi di fama internazionale dell’opera tolkeniana per il convegno che si è tenuto a Modena il 22 maggio 2010. Tali interventi riguardano, come dice il titolo del libro, i rapporti esistenti tra gli scritti di Tolkien e la filosofia.
Dopo una breve introduzione di Franco Manni, è Claudio Testi a spiegare il perché di un congresso, di un libro e di un incontro su questo tema: il tutto nasce dal cercare di coniugare due grandi passioni della sua vita, ossia San Tommaso d’Aquino e J.R.R. Tolkien. Tentativo che l’ha portato nel 2005, assieme ad altri, a tradurre La via per la terra di mezzo di Tom Shippey e a pubblicare tale traduzione all’interno della collana di studi filosofici da lui fondata. Da quel momento in poi l’Istituto Filosofico di Studi Tomistici e la casa editrice Marietti hanno dedicato una loro collana proprio agli studi su Tolkien, Tolkien e dintorni, ed è diventato attivo un gruppo di studi su questo importante autore del Novecento. Un’iniziativa culturale di alto livello all’interno del panorama degli studi tolkeniani in Italia, che ha visto come apice delle proprie attività l’organizzazione del convegno modenese di cui abbiamo già parlato. L’intervento di Claudio Testi permette a Franco Manni di poter accennare al pubblico la vicenda tolkeniana in Italia: i “campi hobbit” sul lago d’Iseo, la Società Tolkeniana Italiana e il loro rapporto con il neofascismo italiano e, d’altro canto, il disprezzo snobista verso Tolkien e le sue opere da parte degli intellettuali italiani.
Si entra poi nel vivo dell’incontro, cercando di individuare esempi di idee filosofiche espresse da Tolkien come romanziere nonché determinare quale sia il tema centrale dell’opera tolkeniana. Il dibattito è aperto anche al pubblico, che suggerisce varie tematiche ed idee: la rinuncia al Potere, Tecnologia versus Natura, la Provvidenza, la lotta tra Bene e Male, la natura del Male. Claudio Testi, prendendo spunto dalle lettere di Tolkien, aggiunge a questi il tema della Morte, che sostiene essere il vero nucleo centrale del Signore degli Anelli e del Silmarillion. Parla degli Elfi e della loro immortalità, che li lega per sempre ai cicli vitali del mondo, e – per contro – degli Uomini, il cui destino ultimo non è vincolato a quello del mondo, ma alla speranza di un aldilà. Gli Elfi, dopo vite lunghe migliaia di anni, finiscono per stancarsi di questo mondo e invidiano il dono della Morte che è stato concesso agli Uomini; dal canto loro, gli Uomini invidiano agli Elfi la loro longevità, la mancanza di malattie, il perdurare della bellezza nella vecchiaia. Franco Manni, invece, seguendo ciò che Tom Shippey afferma più volte nei propri saggi, sostiene che il cuore ideologico e filosofico di Tolkien sia il tema della Provvidenza. Fa l’esempio di Gollum, essere corrotto e avido, “tossicodipendente” dell’Anello che, provvidenzialmente, salva la Terra di Mezzo: qualcosa che né mente umana né elfica né orchesca avrebbe potuto prevedere.
Franco Manni racconta ai presenti il dibattito avuto a Modena con Tom Shippey sui rapporti tra filosofia e filologia. Shippey è un convinto sostenitore dell’idea che la filosofia sia qualcosa di fumoso, di poco chiaro e che – viceversa – la filologia sia qualcosa di certo, di chiaro, che parla di cose concrete; ed anche Tolkien era, in effetti, come Shippey, avverso alla filosofia. Franco Manni ribadisce la sua tesi: Tolkien conosceva necessariamente alcune idee filosofiche; non soltanto perché ci sono dati oggettivi della sua biografia che sostengono questo ma anche perché non esiste nessuno che, in modo diretto o indiretto, non sia influenzato da idee filosofiche; il cosiddetto “senso comune” si crea come “precipitato” delle millenarie idee filosofiche. Il professor Manni cita anche, brevemente, alcuni esempi di richiami alla storia della filosofia: Platone e l’Anello di Gige menzionato nella Repubblica; il tema della reincarnazione, trattato da Platone nel Fedone; il concetto aristotelico dell’uomo come animale razionale e la visione non negativa di corpo e corporeità; l’idea agostiniana del male versus quella manichea; i due concetti di speranza presentati da San Tommaso d’Aquino. Tolkien dunque conosceva i filosofi antichi e medievali, ma non quelli moderni e contemporanei, poiché aveva una polemica antimodernista. I filosofi contemporanei di Tolkien erano i cosiddetti “filosofi analitici” di Oxford e Cambridge, solitamente atei e che non parlavano di questioni della filosofia classica (il Bene, il Male, la Morte, Dio…). Tolkien dunque usava idee filosofiche ma non le dichiarava.
I due relatori cedono a questo punto la parola al pubblico per domande e riflessioni varie. C’è il solito momento di imbarazzo generale in cui tutti avrebbero qualcosa da dire ma non vorrebbero essere i primi ad alzare la mano, poi qualcuno rompe il ghiaccio. Si parla, ad esempio, del fatto che Tolkien non abbia mai nominato un solo filosofo in nessuno dei suoi scritti, neppure nelle lettere. Oppure della critica all’idea che i filosofi non abbiano una mente analitica, che non sappiano scendere nei dettagli. Franco Manni replica affermando che esistono sì filosofi parolai e che vendono fumo, ma nella stessa misura in cui esistono avvocati azzeccagarbugli, politici corrotti, medici incapaci; porta l’esempio di quei filologi, criticati anche da Shippey, che tentarono di trovare la ur-lingua, la lingua da cui discendono tutte le altre, e dell’assurdità della loro ricerca, che invece nasceva da competizioni nazionalistiche. Si discute del rigore della filosofia, che pur essendo diverso da quello, ad esempio, della matematica o della filologia, rimane comunque rigore analitico.
Sempre su intervento del pubblico, ci si pone il quesito se la letteratura possa veicolare o meno idee filosofiche e se un letterato come Tolkien può essere definito “pensatore”. Claudio Testi concorda con l’idea che un libro non può essere un mero fatto stilistico o una storiella, ma deve far riflettere, deve contenere idee e che queste idee provengono necessariamente dalla filosofia. Anche Franco Manni interviene facendo l’esempio di Alessandro Manzoni, pensatore cattolico che col romanzo I promessi sposi tratta di vari temi filosofici come quello della Provvidenza. Però se in Manzoni la Provvidenza è esplicitata, in Tolkien essa non è mai nominata poiché nella Terra di Mezzo non ci sono religioni o templi o chiese o sacerdoti o déi; essa non è nominata perché la Provvidenza non può essere relegata ad una sola religione, ma è ovunque; gli incontri nel Signore degli Anelli avvengono «per caso».
Un altro tema nominato all’inizio dell’incontro e che viene trattato è quello del Potere e della sua natura. Claudio Testi classifica quattro tipi di potere in Tolkien: alcuni poteri usano uno strumento, altri no; alcuni poteri si esercitano per il domino, altri poteri invece non si esercitano per il dominio. Un potere che non si esercita per un dominio e che non ha uno strumento è, ad esempio, il potere elfico della sub-creazione, simile a quello che i narratori hanno di creare mondi alternativi con i loro romanzi. È il potere apparentemente più innocente di tutti, il più artistico. Al lato opposto c’è il potere per il dominio e con uno strumento e l’esempio che viene portato è quello dell’Unico Anello. È il potere della tecnica e della tecnologia, che incanala in un oggetto qualcosa che amplifica enormemente le nostre capacità. Però Tolkien non individua nel primo potere qualcosa di necessariamente buono e nel secondo qualcosa di necessariamente malvagio. Ad esempio sul monte Caradhras Gandalf usa la magia (uno strumento) per accendere un fuoco (dominio sulla natura), ma lo fa solo come ultima scelta per salvare gli hobbit dall’assideramento, quando tutte le altre possibilità (trovare riparo, accendere un fuoco in modo naturale, avanzare) gli sono state precluse. Ogni potere è pericoloso, anche quello artistico: solo, più grande è il potere, più grande è il male che ne può derivare. Parafrasando Lord Acton: il Potere potenzialmente può corrompere, ma il Potere Assoluto certamente corrompe. Tuttavia Tolkien non pensava certo che la soluzione fosse l’anarchia, ossia l’assenza di qualunque potere, idea folle ed irrealizzabile; ma era consapevole – avendo pienamente vissuto il periodo dei totalitarismi – che il potere assoluto è un male certamente.
Sempre connessa alla tematica del Potere, viene posta una domanda sullo sdoppiamento di personalità Gollum/Smeagol e sul suo significato. Franco Manni risponde dicendo che chiunque entra in possesso dell’Anello (del Potere) ne viene corrotto e finisce per diventarne dipendente. Questa dipendenza (addiction in inglese) varia però a seconda del soggetto coinvolto. I re degli uomini dipendenti dal Potere diventano Nazgûl, Spettri dell’Anello. Gollum, con le sue ambizioni di potere più limitate (diventare invisibile, uccidere senza essere visto, mangiare carni) diventa invece un deforme “tossicodipendente”. Smeagol, che incarna l’umanità di questa creatura, non viene distrutto, ma Gollum prende gradualmente il sopravvento e questo si esteriorizza anche nel suo aspetto fisico; anche così, però, Smeagol continua ad esistere e ci si chiede cosa può voler dire questo. Franco Manni, citando San Tommaso, domanda se la virtù della Saggezza può essere distrutta dal vizio. La risposta che dà l’Aquinate è no: la Saggezza è come una fonte di luce, come il sole; tra noi e di essa possono esserci pochi oppure molti ostacoli (i vizi), eppure tali ostacoli non distruggono la fonte di luce, la rendono solamente più difficile da raggiungere.
Uno scroscio d’applausi improvviso ci ricorda che sono già le xx. Con i saluti di Claudio Testi e di Franco Manni si conclude questo interessante appuntamento.