L'amore di J.R.R. Tolkien per le parole
La natura rivelatrice degli aforismi di Tolkien ne Il Signore degli Anelli
di Charles E. Bressler
ABSTRACT
Disseminati lungo tutto Il Signore degli Anelli di J.R.R. Tolkien si trovano numerosi aforismi. Un aforisma è considerato una concisa formulazione di una verità o di un sentimento; cioè, una breve espressione che comporta una ripetizione perché veicola una morale. È mia opinione che, ne Il Signore degli Anelli, Tolkien non solo usa aforismi per rivelare profonde verità sulla sua cosmologia e sulla sua mitologia, ma usa anche queste brevi espressioni nel significato originale della parola 'aforisma': portare la guarigione alle creature della Terra-di-Mezzo e fornir loro incoraggiamento, castigo e comprensione di se stessi, delle altre specie create e del mondo caduto o malato in cui vivono.
A PROPOSITO DELL'AUTORE
Charles E. Bressler possiede un Ph.D. Dell'Università della Georgia U.S.A. Ed ha pubblicato vari articoli su Tolkien e Lewis.
Dato di fatto: senza dubbio J.R.R. Tolkien è uno dei più famosi filologi della Oxford University; il suo Signore degli Anelli è stato votato “il libro del secolo” da un sondaggio del 1996 su un campione di 96.000 lettori della libreria Waterstone.
Dato di fatto: come esperto di numerosi linguaggi, inclusi vari linguaggi da lui inventati, Tolkien conosceva l'etimologia di innumerevoli parole, frasi, massime, adagi e aforismi. Sono inclusi nel suo bagaglio linguistico non solo le radici e i significati di queste parole ed espressioni, ma anche il loro contesto culturale.
Dato di fatto: Tolkien usa più di cento aforismi ne Il Signore degli Anelli. Gran parte degli studiosi ha trascurato lo studio di questi aforismi, solo alcuni esperti di Tolkien, come Tom Shippey, li hanno menzionati nelle loro ricerche.
L'esposizione di oggi verterà sulla creazione e l'uso degli aforismi da parte di Tolkien ne Il Signore degli Anelli. È nostra convinzione che Tolkien usi questo tipo di costruzione per rivelare le profonde verità della sua cosmogonia e mitologia. Da attento filologo, Tolkien conosceva lo scopo originale e l'ambiente culturale di un aforisma. Per queste sue conoscenze, Tolkien fa parlare molti dei suoi personaggi attraverso asserzioni aforistiche al fine di portare la guarigione alle creature della Terra-di-Mezzo, incoraggiarle nelle avversità, e permettere la conoscenza non solo di se stessi, ma anche di altre creature del mondo in cui vivono. Un'analisi globale degli aforismi di Tolkien ci aiuterà, credo, a chiarire le verità su cui Tolkien basa a sua mitologia.
Circa 138 aforismi tessono la loro strada nel testo de Il Signore degli Anelli, a partire dagli aforismi piuttosto semplici del Gaffiere - “Tutto è bene quel che finisce bene”, e “Ogni volta che apri la tua grossa bocca fai una frittata”1 - a quelle più sofisticate di Aragorn - “Il lupo che si ode è peggiore dell’Orco che si teme»2, e “Colui che non sa separarsi da un tesoro al momento del bisogno è simile a uno schiavo in ceppi”3 - a quelli pronunciati da Gandalf il Bianco: “Non dirò: 'Non piangete', perché non tutte le lacrime sono un male”4 e “E colui che rompe un oggetto per scoprire cos’è, ha abbandonato il sentiero della saggezza”5. Riconoscere ogni singolo aforisma ne Il Signore degli Anelli non è in sé un compito facile. È un aforisma o un'asserzione? È una proposizione? Una serie di proposizioni? O un aforisma potrebbe forse essere considerato solo una serie di frasi. Per esempio, nel terzo libro, Aragorn e la compagnia si incontrano per la prima volta con Eomer e con i suoi seguaci fuorilegge. Durante la conversazione, Eomer dice:
È difficile esser certi di qualcosa fra tante meraviglie. È divenuto così strano il mondo! Elfi e Nani camminano insieme sulle nostre praterie, in pieno giorno; c’è gente che parla con la Dama della Foresta, eppur rimane in vita; e ritorna a combattere finanche la Spada che fu Rotta nei tempi remoti, prima che i padri dei nostri padri giungessero nel Mark! Come può un uomo in tempi come questi decidere quel che deve fare?6
Come ha sempre fatto», disse Aragorn. «Il bene e il male sono rimasti immutati da sempre, e il loro significato è il medesimo per gli Elfi, per i Nani e per gli Uomini. Tocca ad ognuno di noi discernerli, tanto nel Bosco d’Oro quanto nella propria dimora7
Qualcuna di queste parole o frasi dovrebbe essere considerata un aforisma, o vi sono costruzioni delle frasi che si possono considerare 'quasi-aforismi'? O un intero paragrafo può essere considerato una sorta di aforisma? Dunque, il nostro primo compito è definire, tracciandone i limiti, dell'applicazione del termine aforisma in sé.
Una rassegna di più di 30 dizionari di vario genere rivela che un aforisma è una corta, concisa asserzione di una palese verità che concerne la vita o la natura. Per il bene della discussione, sarà utile distinguere un aforisma dai suoi sinonimi: assioma, proverbio, massima, adagio. Un aforisma differisce da un assioma nel fatto che la sua verità espressa non è soggetta a dimostrazioni scientifiche come l'assioma. E differisce da un proverbio nel fatto che è più filosofico e meno colloquiale. Come il proverbio, sia l'adagio che la massima sono affermazione famigliari che esprimono un'osservazione o un principio generalmente accettato come saggio e vero. La massima è un detto che è ampiamente accettato per i suoi propri meriti. Spesse volte è ovvio, ma non sempre significativo, e può effettivamente contraddire altre massime. Come il proverbio e la massima, l'adagio è un detto condensato, ma memorabile, che veicola alcune importanti lezioni dell'esperienza considerate vere da molte persone. Sebbene le definizioni di tutti questi termini siano parzialmente simili, l'aforisma emerge nel fatto che il suo contenuto non ha necessariamente ricevuto stima con l'uso prolungato, ma si distingue per la sua particolare profondità filosofica. Basandoci sulle precedenti distinzioni di significato, possiamo definire l'aforisma come un principio o una verità espressa in modo lapidario articolata in una corta e concisa frase in tal modo che quando è udita è improbabile che sia dimenticata, sebbene il suo contenuto non abbia guadagnato necessariamente credibilità con l'uso prolungato.
Tolkien stesso deve aver conosciuto questa definizione di aforisma e dei suoi sinonimi. Ma deve anche aver conosciuto il significato originale e l'ambiente culturale del termine. Arrivata all'inglese attraverso il tardo latino e il medio francese, la parola aforisma ha origine dal greco (aphorismos 'definizione') e fu usato per la prima volta da Ippocrate nel suo scritto intitolato Aforismi, riferito specialmente a principi medici brevemente espressi. La ormai famosa riga di apertura di Ippocrate inaugura l'uso degli aforismi nella letteratura Occidentale: “La vita è corta, l'arte è lunga, l'opportunità è fugace, sperimentare è pericoloso, ragionare è difficile”. Ippocrate cataloga in elenco i suoi principi medici, o ciò che egli chiama aforismi, nel corso di tutto il suo lavoro. Ecco alcuni esempi: “I pazienti curati di emorroidi croniche che hanno sanguinato molto sono in pericolo di idropisia o tubercolosi, a meno che uno strato di tumore non sia lasciato sanguinare” e “nella diarrea prolungata un vomito involontario può essere curativo”. Tolkien deve aver conosciuto che il primo scopo degli aforismi di Ippocrate era istruire e aiutare i medici nell'arte della guarigione. Analogamente, molti degli aforismi de Il Signore degli Anelli aiutano a raccogliere il coraggio, a rincuorare e a portare qualche genere di guarigione psicologica, spirituale o addirittura fisica, sia a chi li enuncia e sia a chi li ascolta. Come già notato, gli aforismi sono di solito originali espressioni di chi li pronuncia, dal momento che tali affermazioni non hanno ancora guadagnato credibilità attraverso un uso prolungato. Come le massime e gli adagi, possono essere anche piuttosto semplici (“Le persone che vivono in case di vetro non dovrebbero lanciare sassi”) o sofisticate (“prendere una decisione significa invocare cambiamenti”). Per Tolkien, la raffinatezza sociale e spirituale di chi enuncia un aforisma e la profondità del contenuto filosofico dell'aforisma sono direttamente collegati con la sua cosmogonia e mitologia.
Il Signore degli Anelli di Tolkien è basato filosoficamente sulla sua mitologia che, tuttavia, compare sempre molto debolmente nel lavoro in sé. La sua mitologia – la sua storia generale che “rende concreta e particolare una speciale percezione dell'essere umano o una visione cosmica” (Harmon, A Handbook) è contenuta nel suo lavoro della vita Il Silmarillion, pubblicato postumo da suo figlio Christopher. In questo libro, Tolkien chiarisce la sua cosmogonia, o il suo racconto della creazione, l'origine di tutti gli esseri spirituali del suo universo e dell'ordine del suo mondo mitologico. Senza dubbio, la storia della creazione e del suo creatore raccontata da Tolkien rivela una gerarchia prestabilita che coinvolge non solo il creatore e tutti gli esseri spirituali creati, ma tutte le creature nessuna esclusa, in cui ogni specie o gruppo è dotato di differenti tratti fisici e intellettuali e di differenti gradi di responsabilità.
All'apice della gerarchia di Tolkien c'è Ilúvatar, il Padre di tutti, il creatore di tutte le cose che vivono nelle Aule Atemporali. Modellando tutti gli eventi per realizzare i propositi che ha dichiarato, Ilúvatar raramente interviene direttamente nel suo creato, ma sceglie di agire attraverso quindici creature spirituali chiamate Valar. Creati con la Fiamma Imperitura, questi Valar sono incaricati di realizzare il volere di Ilúvatar nel suo universo creato. Come ogni creatura nell'universo mitologico di Tolkien, i Valar sono una gerarchia, con Manwë, il Buono e Puro, il più elevato e nobile, chiamato Signore dei Valar. La sua sposa, Varda, chiamata con vari nomi, Elbereth e Gilthoniel, fece le stelle e stabilì il percorso del sole e della luna. Il seguente è Melkor o “Colui che si leva in Possanza”8, il Valar a cui Ilúvatar diede il più grande potere e conoscenza. A ciascuno dei quindici Valar, Ilúvatar diede speciali doni e responsabilità.
Gli aiutanti dei Valar sono i Maiar. Alcuni Maiar, come Gandalf il Bianco, hanno scelto di assumere una forma corporea, per incoraggiare ed aiutare i popoli della Terra-di-Mezzo, mentre altri, come Sauron (“l'aborrito”) scelse di diventare un seguace di Melkor o Morgoth. Come i Valar, tuttavia, queste creature hanno il libero arbitrio. E come Melkor che respinse la volontà di Ilúvatar e desiderò prendere il suo posto, qualche Maiar, vale a dire i Balrogs (“demoni di potere”9) decidono di ribellarsi con Melkor e sono diventati da allora terrificanti servitori di Melkor.
Seguono gli uomini e gli Elfi – a loro volta divisi in sottogruppi – seguiti da nani, ents, il mondo animale, il mondo vegetale, ed infine il mondo inorganico o minerale, ognuno con le sue suddivisioni. Come i “buoni” della Terra-di-Mezzo, anche la parte “cattiva” (parole di Tolkien) sono a loro volta organizzate gerarchicamente, con Sauron come leader, seguito da tutta una serie di creature a lui “legate” come gli orchi che a loro volta hanno varie collocazioni o classi nella loro razza. Sparsi poi nell'universo tolkieniano vi sono altre creature come Tom Bombadil e Barbalbero che in qualche modo sfuggono a qualsivoglia genere di classificazione.
All'interno di questo mondo creato, i personaggi di Tolkien vivono, si muovono e parlano. Il loro linguaggio però non è puramente occasionale. Costruendo accuratamente il linguaggio di ogni persona e popolo, Tolkien rivela attraverso il linguaggio la natura gerarchica della sua mitologia e cosmogonia. Le parole dei personaggi riflettono la loro classe sociale, la loro educazione o livello di studio, il loro sviluppo morale, le loro etiche, l'insieme delle loro relazioni – inconsciamente o consciamente – con Ilúvatar. Facendo sempre solo deboli cenni alla sua dettagliata mitologia ne Il Signore degli Anelli, Tolkien struttura l'espressione degli aforismi dei suoi personaggi per rispecchiare la sua mitologia e cosmologia gerarchica. Punto di partenza per un'osservazione di questo genere è il numero di aforismi pronunciati dalle varie categorie di creature. Per esempio, il personaggio che pronuncia il maggior numero di aforismi, 30 in tutto, è Gandalf, un Maia. Lo segue Aragorn, Numenoreano, dal termine del libro neo-incoronato re di Gondor, con 13 aforismi. Theoden, re di Rohan ne enuncia 8, Faramir, il giovane figlio del Sovrintendente di Gondor, ne cita 5, e così via, con molti altri personaggi, Maggot, Haldir, Hama, e qualche orco, che ne pronunciano uno ciascuno. Apparentemente, quanto più alto è il rango sociale di ogni personaggio entro ogni specie, ed in relazione con la posizione gerarchica nel creato della specie cui appartiene il personaggio stesso, tanto maggiore è il numero di aforismi pronunciati; questo rivelerebbe che la saggezza dipende dalla posizione gerarchica dei personaggi: quelli in più alto 'grado', Gandalf per esempio, sarebbero più saggi, mentre quelli di minor grado, come il Gaffiere, avrebbero minore saggezza. Tutto questo farebbe pensare che gli aforismi ne Il Signore degli Anelli, costituiscano un continuum che va senza soluzione di continuità dagli aforismi minori (o massime) dei personaggi della classe inferiore, come il Gaffiere (“È vento cattivo quello che non porta bene a nessuno” 10) a quelli pronunciati dai personaggi più saggi di tutti, Gandalf(“ l’ospite fuggito dal soffitto ci penserà su due volte prima di ritornare dalla porta”11).
Spingendo oltre questa analisi, notiamo che gli aforismi pronunciati dal Gaffiere e da altri personaggi di status sociale simile, sono più corti, meno originali, e di minor livello culturale di quelli pronunciati da personaggi più saggi. Per esempio, un orco guidatore di schiavi dice a Sam e Frodo, “Dove c’è una frusta c’è una volontà, fannulloni”12 e il Gaffiere nota: “tutto è bene quel che finisce bene”13. Questo genere di espressioni mondane possono essere giustapposte alla risposta di Legolas ad Aragorn e Gimli poco prima dell'incontro con i cavalieri del Mark: “Ma riposate, se ne avete bisogno, e non abbandonate ogni speranza. Il domani è ignoto. Spesso il levar del sole porta consiglio”14. L'aforisma del Gaffiere (o le sue massime, si può anche dire) non è nulla di originale, e il suo modo di parlare, come quello della guida orco, è di basso livello. Spesso Tolkien nota il “preso in prestito” e abusato contenuto degli aforismi più semplici e generici mettendoli in corsivo, come fa con la maggior parte dei detti del Gaffiere. Inoltre, tali aforismi frequentemente, si trovano presto ne Il Signore degli Anelli (Libri I, II e III), con qualche eccezione soltanto. Paragonato a detti così semplici e ripetitivi, l'aforisma di Legolas è un po' più lungo, possiede un più alto livello di dizione, ed è originale, sia nel contenuto che nella scelta delle parole. Si noti in Legolas per esempio l'uso dell'ormai arcaica parola 'rede', che significa avvisare o consigliare, derivato dal Medio Inglese 'reden', guidare e dirigere, e dall'Inglese Antico raedan. Né il Gaffiere, né l'orco guidatore degli schiavi e neppure qualsiasi altra creatura minore utilizzano un livello di dizione così alto come quello di Legolas l'Elfo o Aragorn il Numenoreano e Re di Gondor o lo Stregone Bianco, Gandalf.
Che i personaggi di Tolkien più saggi – coloro che occupano la parte alta della “Grande Catena della Vita” della sua cosmogonia – pronuncino i più profondi e filosoficamente acuti aforismi non sorprende. Ciò che affascina, tuttavia, è il collegamento che Tolkien instaura tra le scelte di un personaggio e le parole pronunciate da ogni personaggio. Per Tolkien, un personaggio può diventare saggio scegliendo costantemente il bene, indipendentemente dalla classe sociale a cui appartiene. Man mano che Legolas, Aragorn e persino Gandalf, per esempio, si affannano nel fare la volontà di Ilúvatar, la volontà del bene che non cambia mai (come abbiamo già notato nella frase detta da Aragorn ad Eomer), diventano progressivamente 'più saggi', diventando alla fine theotokos (ndr. che si può tradurre con: coloro che generano Dio) per coloro che servono e hanno imparato ad amare. Ed è attraverso gli aforismi che formulano che Tolkien rivela una così sorprendente crescita del carattere di ognuno dei personaggi, che diventano capaci di trasformarsi in agenti della grazia e della guarigione per le vite di chi li ascolta. Per esempio, nel Libro II, quando Legolas e la compagnia stanno lasciando Lórien, Gimli piange apertamente a causa della tristezza di dover lasciare Galadriel, e chiede a Legolas: “perché intrapresi questa Missione? […] La tortura dell’oscurità era ciò ch’io maggiormente temevo, e tuttavia partii, vincendo la mia paura. Ma se avessi conosciuto il pericolo della luce e della gioia, non sarei mai venuto”15.
Legolas risponde: “Miseri tutti noi! E tutti coloro che percorreranno il mondo nei giorni a venire. Esso è fatto in tal modo che ciò che trovi lo perdi subito, e ti par di essere in una barca trascinata dalla corrente”16. Ma dopo essere sopravvissuti a molte avventure e pericoli, costantemente scegliendo di seguire il bene, possiamo notare la risposta di Legolas (e la sua crescita personale) a Gimli quando si stanno preparando una volta ancora ad affrontare l'Oscuro Signore davanti ai suoi cancelli: “Su con la barba, figlio di Durin! […] Quando tutto è perduto sorge spesso la speranza”17. “Qualunque cosa accada, le grandi gesta non perdono il loro valore”18. Attraverso queste parole, un Legolas cambiato dall'esperienza ora ispira speranza, coraggio, e onore in Gimli.
Similmente, nel Libro I Aragorn si esprime con una certa arroganza quando parla a Pipino delle scorciatoie nella foresta, “Le mie scorciatoie, lunghe o corte che siano, non sgarrano mai”19. Ma quando parlando alla compagnia brevemente dopo la presunta sconfitta di Gandalf da parte del Balrog, un ben più cambiato dalla vita Aragorn dice: “I consigli di Gandalf non prevedevano la sicurezza futura degli altri e di lui stesso, […] Certe cose, è meglio intraprenderle che rifiutarle, anche se il loro esito è oscuro. Ma non voglio ancora lasciare questo posto. In ogni caso dobbiamo attendere qui la luce del mattino”20. Attraverso queste parole, Aragorn afferma l'esistenza di assoluti, nobilitando la compagnia che persegue gli scopi che essi hanno indicato.
Persino gli aforismi di Gandalf mostrano la sua crescita come personaggio. Quando parla ad Aragorn riguardo Théoden, per esempio, Gandalf dice : “Un re nel proprio palazzo ottiene sempre ciò che vuole, sia questo saggezza o follia”21. Affermazione in effetti giusta. Ma consideriamo l'ultimo aforisma di Gandalf alla penultima pagina del romanzo: “Ebbene, cari amici, qui sulle rive del Mare finisce la nostra compagnia nella Terra di Mezzo. Andate in pace! Non dirò: 'Non piangete', perché non tutte le lacrime sono un male”22. Queste sono davvero parole non solo di saggezza ma anche di grazia, comprensione e guarigione.
Ma attraverso le proprie scelte due personaggi e le loro parole eclissano tutti gli altri: Sam Gamgee e Frodo Baggins. Scegliendo di fare il bene – seguire la volontà di Ilúvatar – Sam e Frodo diventano portatori di grazia nelle vite di molti altri personaggi. Per esempio, nelle parti iniziali del romanzo, Frodo afferma che: “Chi va piano va sano e va lontano, ma chi si ferma non va avanti”23. Che cambiamento, tuttavia, si verifica negli aforismi di Frodo dopo il trasporto dell’Anello alla Voragine del Fato e aver sperimentato il suo massimo potere. Questo hobbit cambiato dalla vita dice a proposito del patetico Saruman che diventa dittatore della Contea: “ È inutile pagare vendetta con vendetta: non risolverà nulla”24. E a Sam, Frodo dice alcune delle ultime parole del romanzo: “Ho tentato di salvare la Contea, ed è stata salvata, ma non per merito mio (ndr. traduzione errata, in realtà, quella giusta sarebbe stata: “ma non per me”). Accade sovente così, Sam, quando le cose sono in pericolo: qualcuno deve rinunciare, perderle, affinché altri possano conservarle”25 - una volta di più, parole di grazia, di guarigione e di conforto.
Allo stesso modo, Sam, un altro portatore dell'Anello, è cambiato dall'esperienza della vita e dalle scelte personali tanto da diventare anche lui theotokos. Spesso, prima, parlando con 'Gaffierismi' - “bello è chi bello fa”26, “È il lavoro mai incominciato che impieghi più tempo a finire”, e “Vivi ed impara!”27, Sam, rimanendo fedele al suo impegno verso Frodo, la quest, il vero ed il buono, diventa il personaggio più sviluppato di Tolkien, a dispetto di aforismi piuttosto semplici. Quando vede Frodo caduto incapace di scalare i gradini finali verso Monte Fato, Sam dice: “Non posso portare io l’Anello, ma posso trasportare voi ed esso insieme”28. Quest'hobbit di basso ceto, seguendo la via dell'onore della verità e del bene, ha imparato il valore del sacrificio di sé a servizio del prossimo e della gioia nel compierlo.
Gli aforismi di Tolkien riflettono veramente il ceto sociale e il grado gerarchico nella sua mitologia e cosmogonia di chi li pronuncia. Ma in tutta la letteratura, tensione e ambiguità abbondano. Perseverando nel cercare il bene, personaggi come Sam e Frodo possono diventar theotokos indipendentemente dal rango sociale, dall'educazione o dalla classe di appartenenza.
[traduzione di Alberto Quagliaroli da 'The Revelatory Nature of Tolkien’s Aphorisms in The Lord of the Rings ' in Aa. V., The Ring Goes Ever On: Proceedings of the Tolkien 2005 Conference]
1Purtroppo, in questo come in non pochi aforismi, la traduzione italiana rischia di modificare eccessivamente la struttura e il significato dell'inglese, userò come metodo la citazione in nota dell'originale inglese: “When ever you open your big mouth you put your foot in it”
2Qui l'autore dell'articolo attribuisce ad Aragorn ciò che invece ha detto Boromir: “The wolf that one hears is worse than the orc than one fears”.
3“One who cannot cast away a treasure at need is in fetters”.
4“I will not say: do not weep; for not all tears are an evil”.
5"And he that breaks a thing to find out what it is has left the path of wisdom."
6“It is hard to be sure of anything among so many marvels. The world is all grown strange. Elf and Dwarf in company walk in our daily fields; and folk speak with the Lady of the Wood and yet live; and the Sword comes back to war that was broken in the long ages ere the fathers of our fathers rode into the Mark! How shall a man judge what to do in such times?
7As he ever has judged,' said Aragorn. 'Good and ill have not changed since yesteryear; nor are they one thing among Elves and Dwarves and another among Men. It is a man's part to discern them, as much in the Golden Wood as in his own house
8“He who arises in Might”, nel testo di The Silmarillion alla voce 'Melkor' a fine libro.
9Nell'articolo l'autore cita “power terrors”, che tuttavia non si trova nel The Silmarillion in lingua originale, ove si specifica dei Balrogs che sono “Demon of Might”, e la traduzione in italiano porta l'espressione di cui sopra.
10“It’s an ill wind as blows nobody no good”
11“the guest who has escaped from the roof, will think twice before he comes back in by the door”.
12“Where there’s a whip there’s a will, my slugs (910)”.
13“all’s well as ends well”.
14“But rest if you must. Yet do not cast all hope away. Tomorrow is unknown. Rede oft is found at the rising of the Sun.(419)”
15“Tell me, Legolas, why did I come on this Quest? […] Torment in the dark was the danger that I feared, and it did not hold me back. But I would not have come, had I known the danger of light and joy”
16“Alas for us all! And for all that walk the world in these after-days. For such is the way of it: to find and lose, as it seems to those whose boat is on the running stream”(369).
17“Up with your beard, Durin’s son! […] Oft hope is born, when all is forlorn”(859).
18“Follow what may, great deeds are not lessened in worth”(859).
19“My cuts, short or long, don't go wrong”(177).
20“The counsel of Gandalf was not founded on foreknowledge of safety, for himself or for others, […] There are some things that it is better to begin than to refuse, even though the end may be dark”(430).
21“A king will have his way in his own hall, be it folly or wisdom”(499).
22“Well, here at last, dear friends, on the shores of the Sea comes the end of our fellowship in Middle-earth. Go in peace! I will not say: do not weep; for not all tears are an evil”(1007).
23“Short cuts make delays, but inns make longer ones”(86).
24“It is useless to meet revenge with revenge: it will heal nothing”(995).
25“I tried to save the Shire, and it has been saved, but not for me. It must often be so, Sam, when things are in danger: some one has to give them up, lose them, so that others may keep them”(1006).
26“handsome is as handsome does”.
27“Live and learn!”.
28“Come, Mr. Frodo!' […] I can’t carry it for you, but I can carry you“.