L’Emblema di Morgoth

di Gianluca Meluzzi






Tra i tantissimi temi che J.R.R. Tolkien nel proprio immenso immaginario ha toccato, iniziato a sviluppare con grande eleganza, ed infine abbandonato nell’incompletezza, troviamo anche quello dell’araldica.


È noto come egli amasse moltissimo disegnare e come in ciò avesse un notevole talento non soltanto artistico, ma anche tecnico. I suoi emblemi araldici, in particolare, sono assolutamente originali e sfruttano al meglio entrambe le doti, riuscendo ad unire l’effetto estetico ad un alto livello di elaborazione grafica, talvolta persino estremo.


Il tema dell’araldica però, a differenza dai quelli principali, come il linguistico, lo storico o il geografico, è rimasto limitato a poche rappresentazioni ed a brevi descrizioni nei testi. Né gli emblemi sono accompagnati da approfondimenti o spiegazioni salvo, in rarissimi casi, da qualche annotazione. Cosicché poco o nulla sappiamo sull’elaborazione strutturale e simbolica che ne è all’origine, ed i rari studi analitici compiuti successivamente, se hanno potuto illuminarne alcuni aspetti deduttivamente in modo anche brillante, di più ne lasciano ancora avvolti nei loro misteri.1


Riporto alcuni esempi grafici.


La più emblematica rappresentazione araldica che l’autore ci ha lasciato è sicuramente il disegno della porta monumentale di Moria. Tra scritte e decorazioni, lungo il suo asse centrale riconosciamo in alto lo stemma di Durin, sormontato da sette stelle che simboleggiano le Sette Casate dei Nani, e sotto la stella feanoriana2.


Quest’immagine tuttavia, se da un lato ci apre una finestra su un aspetto altrimenti del tutto sconosciuto (per quanto secondario) della Terra di Mezzo, dall’altro non può che crearci dei nuovi interrogativi: su come fossero gli stemmi delle altre sei casate, e come mai la stella di Fëanor sia completamente diversa dall’emblema araldico personale di costui, nel quale al posto della stella campeggia un Silmaril multicolore (si veda la Figura 2, primo da sinistra).


Figura 1 – La Porta di Moria disegnata da J.R.R. Tolkien.


Meno noti, ma in qualche caso perfino ancora più accurati ed ornati, sono i sedici emblemi del Silmarillion, appartenenti ad alcuni personaggi e casate elfiche ed Edain della Prima Era.3 Sicuramente sono tutt’altro che casuali nella loro simbologia e seguono regole di araldica originali in qualche modo definite. Da una breve annotazione autografa sappiamo, ad esempio, che il quadrato è maschile ed il cerchio femminile, e che tra i Noldor un re dovrebbe avere sei-otto punte ed un principe quattro.4 Anche i colori sembrerebbero seguire degli schemi specifici, o quantomeno delle tendenze. Tuttavia non mancano le eccezioni, per cui il mistero sulle loro regole permane irrisolto.




Figura 2 – Alcuni emblemi disegnati da J.R.R. Tolkien: Fëanor, Idril, i Silmaril, Thingol, Lúthien e la Casa di Hador.


L’emblema più noto in assoluto, naturalmente, nonché probabilmente il più bello, è quello di Sauron: quello con l’Unico Anello e l’Occhio al centro, la magnifica iscrizione in caratteri tengwar che li circonda in cerchio, ed uno degli Anelli del Potere sulla sommità.5 E certo non a caso, dato che lo sviluppo delle lingue, in particolare di quelle elfiche, è uno dei punti di maggior forza di J.R.R. Tolkien. Fatto curioso, egli non lo amava; tanto che, quando qualcuno credette di fargli piacere regalandogli un calice con incisa quell’iscrizione, lui con disgusto ne fece un posacenere per la pipa!6

Molto approfondita in questo caso, seppure concentrata sulla sola parte centrale dell’emblema, è un’analisi fatta da Jamie Mc Gregor. In estrema sintesi egli ci spiega come il nero ed il rosso siano colori simbolici uno dell’orrore e l’altro della violenza, e come l’Occhio, oltre ad identificarsi con Sauron stesso, essendo smembrato da un corpo simboleggi la corruzione intrinseca del Male.7

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Figura 3 – Emblema di Sauron disegnato da J.R.R. Tolkien.


Innumerevoli altri stemmi li si incontrano tratteggiati nei testi, massimamente dipinti sugli scudi dei combattenti o tessuti nei loro stendardi.8


Da nessuna parte, però, se ne può trovare uno che appartenga a Morgoth, od alle sue schiere, o ad una sua luogotenenza. Anzi, nell’unico caso in cui si parla, specificamente, proprio del suo scudo personale, questo viene descritto come completamente nero e privo di stemma.9 Ciò potrebbe portare a concludere o che Morgoth avesse come emblema il Buio o il Nulla, oppure che volesse semplicemente incutere più paura.


Ma il Buio è subito contraddetto dai tre Silmaril che egli ostentava sulla corona, sfavillanti della luce di Valinor. Mentre il Nulla, leggendo il suo dialogo con Húrin nel Narn-i-chîn-Húrin, ci si rende conto come per Morgoth rappresentasse ciò che andava oltre il proprio potere e la propria conoscenza; quindi, per lui che voleva essere signore assoluto del creato, costituiva un concetto privo di utilità e detestabile.10


In conclusione è logico presumere che anche il maggiore dei Valar, sceso su Arda per plasmarla e dominarla a piacimento (o magari, sotto un altro punto di vista, per guastarla agli occhi di Eru e degli altri Valar), e che per questo s’era messo a capo del più potente impero di ogni tempo, dovesse avere uno stemma proprio e degno di lui. Uno stemma che garrisse sugli stendardi, al fine di far sentire alle sue sterminate schiere la propria presenza e la propria dichiarata onnipotenza, di tenerle coese, di ispirare in loro timore da un lato ed ardire dall’altro, ed allo stesso tempo per incutere sgomento nel nemico, in modo simile all’Occhio Senza Palpebre.


Il problema è che l’autore non ci fornisce nessun suggerimento in proposito. Ci ha però lasciato in eredità una certa autonomia creativa, al fine di tener vivo il Legendarium da lui creato. Scrisse infatti in una lettera che il suo sogno segreto era quello di creare per il suo paese un corpo di leggende nuove, d’una tale bellezza che altri, poi, si sentissero ispirati ad approfondirne ed estenderne gli infiniti aspetti rimasti abbozzati, come minimo quelli artistici e rappresentativi.11


Si cercherà allora di colmare qui questo piccolo vuoto descrittivo del mondo del Silmarillion ricostruendo, in via ipotetica certamente, ma in modo logico, esauriente e, per quanto possibile, filologico, quale aspetto avrebbe potuto avere l’emblema di Morgoth.


In primo luogo esaminiamo come si pongono in relazione tra loro i due grandi poteri maligni della Terra di Mezzo, Morgoth e Sauron.

Morgoth, in principio Melkor, è un Vala: una creatura di immenso potere, creata da Eru prima di tutti i tempi assieme ad altri similari, ma superiore a tutti questi.12 Per dirla secondo i canoni mitologici occidentali è un dio maggiore, ed il primo tra essi.


Eru crea poi innumerevoli altri spiriti di rango inferiore, tra i quali primeggiano i Maiar, che potremmo inquadrare quali dèi minori. Tra i principali di questi ultimi si annovera Sauron, in principio Mairon.13


Quando infine Eru crea Arda, il Mondo, Melkor se ne invaghisce e brama divenirne il signore assoluto. Per questo si ribella, si pone a capo d’una schiera di Maiar e scende a prenderne possesso fisicamente. E trasferisce in Arda gran parte dei suoi poteri, contaminandola con la propria malvagità, al fine di controllarla nel profondo e di poter a sua volta usufruirne per accrescere i propri servitori. Essa diviene così il complemento della sua forza, il cosiddetto Anello di Morgoth.14


Vuoi perché aspira intimamente a prendere le parti del Creatore, vuoi perché ciò gli è necessario per conseguire i propri scopi, egli è un creativo: concepisce il ghiaccio e la neve, solleva le montagne; dà vita ad una miriade di razze nuove e spaventose, che possano scacciare e distruggere quelle create da Eru e popolare il suo mondo al posto loro.

Il suo numero simbolico è il Tre: tre come i picchi del Thangorodrim, tre come i Silmaril che ostenta. Tre come il Divino.


Mairon per contro è soltanto un Maia. Forse egli è il massimo tra i servi di Melkor-Morgoth, ma è pur sempre un suo gregario e resta un gradino al di sotto di lui sia gerarchicamente, sia come spirito.

Quando Morgoth viene sconfitto per la seconda volta, e definitivamente, egli riesce a scampare e coglie l'occasione per prenderne il posto. Dimostrando grande abilità e genialità, al tempo debito anche lui si costruisce un reame potente e temibile fino al punto di sfidare i millenni.


Tuttavia non si può fare a meno di notare quanto ostentatamente egli imiti modi, arti e simbolismi che erano propri del suo superiore. Ad esempio, non prende con sé neppure uno degli altri Maiar sopravvissuti ma, come già Melkor prima di lui, si pone al vertice e si circonda solo di servitori inferiori. Trova in Mordor l’equivalente dei monti degli Ered Engrin e vi costruisce la torre di Barad-dûr proprio di fronte ad un vulcano terrificante, l’Orodruin: chiarissimo richiamo al Thangorodrim. Allestisce immani eserciti di orchi, lupi e troll. Oscura il cielo quando muove le proprie armate. S’ingegna di corrompere Uomini, Elfi e Nani per usarli a proprio vantaggio. Commette persino gli stessi suoi errori, come spogliarsi di parte del proprio potere per trasferirlo all’Unico Anello (Morgoth lo aveva “disperso” in Arda), o farsi sorprendere dall’intervento risolutivo di Valinor (sotto forma dei Cinque Istari e di Gandalf in modo particolare).

Un copione già visto, con una grande differenza: in Mairon manca totalmente il genio creativo di Melkor. Osserviamo infatti come egli non si occupi di dominare la natura, non ponga in essere sconvolgimenti territoriali, non generi nuove razze: Mordor la utilizzerà così com’è, i suoi eserciti li formerà con le creature di Morgoth. E neppure metterà in campo strategie innovative (una mediocre visione strategica, anzi, costituirà sempre il suo punto più debole).

Così stando le cose, viene da pensare che persino la sola e grande invenzione di Sauron, l'Anello, non sia davvero sua quanto, piuttosto, un'idea infelice degli Elfi della quale egli, nella propria smisurata malizia (sua grande dote che gli va riconosciuta), ha semplicemente saputo approfittare in maniera brillante.

Infine, per tornare ai numeri, è facile individuare quello di Sauron: l’Uno. Uno come la torre di Barad-dûr, uno come l'Unico Anello. Ma anche, uno come l'Oscuro Signore, il solo che a diritto rivendica l'eredità dello scettro di Morgoth.


Non sappiamo fino a che punto sia voluta questa ripetitività nei comportamenti delle due diverse personificazioni del Male nel Silmarillion e nel Signore degli Anelli.

Il capolavoro di Tolkien avrebbe dovuto essere, nei suoi piani, il Silmarillion, sul quale egli lavorò fin da giovane e la cui fase creativa principale durò un ventennio. Quando concepì il Signore degli Anelli e vi dedicò ogni suo sforzo letterario, tuttavia, egli si rese conto che questo rappresentava un colpo fatale per il progetto primevo.


Il Signore degli Anelli è come una nuova fase creativa, matura, di quello stesso mondo, e Tolkien vi riversa dentro moltissimi suoi aspetti e concetti. Alcuni volutamente, per conferire immortalità ad un Silmarillion che teme non sarà mai completato o dato alle stampe; altri forse più inconsciamente, per averli già elaborati ed amati e desiderando ripetere, sotto forme rinnovate e migliorate, il pathos che provocano nello scrittore e l’effetto che sortiscono sul lettore.


A mio avviso quindi questa similitudine, non solo concettuale ma anche comportamentale, tra Morgoth e Sauron, non è propriamente voluta dall’autore ed allo stesso tempo è inevitabile. E produce, come effetto collaterale, una sorta di emulazione del secondo nei confronti del primo.

Cosicché la soluzione al problema sorge quasi spontanea: in parte a causa della sua scarsa inventiva, in parte per l'orgoglio di volersi mostrare al mondo quale il legittimo successore del primo tra i Valar ed ora suo pari, lo stemma che Sauron sceglie per sé non può, e non deve, rappresentare nulla di nuovo ed originale. Al contrario, esso deve ricondurre in modo diretto ed inequivocabile a quello di Morgoth.


A questo punto si cercherà di ricostruirlo. Il materiale araldico su cui lavorare non è molto. Per Morgoth abbiamo il nome Melkor, il numero Tre, Arda e la corona quali simboli allegorici del suo potere, ed i Silmaril. Per Sauron, la scritta, l’Occhio, il numero Uno, l’Unico ed un secondo anello.


Quale colore di fondo assumiamo evidentemente il medesimo, il nero. Il nero peraltro in Tolkien è sempre e comunque il colore emblematico delle forze del Male, tanto nel Signore degli Anelli quanto nelle molteplici opere che formano il corpo del Silmarillion.


Al centro dell’emblema, dove Sauron pone l’Occhio, doveva trovarsi un’immagine che fosse rappresentativa di Morgoth stesso, e questa è ragionevolmente la corona, sinonimo di potere assoluto. Essa non è, a differenza dell’Occhio Senza Palpebre, o della Mano di Saruman, una parte di corpo smembrata e non riconduce al concetto di corruzione. Tuttavia dobbiamo riconoscere (a meno di non voler ipotizzare che Sauron avesse copiato persino il simbolo personale del suo antico signore!) come essa sia, nel Silmarillion, l’elemento iconico maggiormente caratterizzante la figura di Morgoth.


Il colore più adatto per la corona è il bianco, sia perché Utumno prima ed Angband poi, si trovavano entrambe all’estremo nord, sia perché Melkor è l’inventore del ghiaccio. Per essa, una foggia a punte si adatta bene per alludere anche al suo potere di elevare le montagne, nonché a quelle dell’Ered Engrin in particolare.


Abbiamo visto come l’intera Arda rappresentasse per lui ciò che l’Unico sarà per Sauron. Quindi era l’Anello di Morgoth a circondare la corona, significando come egli al medesimo tempo dominasse Arda e da quella traesse la propria possanza. Esso poteva apparire pressoché identico all’Unico di Sauron; viene però da pensare ad un colore grigio piuttosto che all’oro, a simboleggiare la penombra in cui era crollato il mondo dopo la vittoriosa azione contro le lampade del mondo, Illuin ed Ormal.15

I tre Silmaril non potevano certo mancare, se Morgoth ne andava orgoglioso al punto che aveva rischiato di farsi uccidere da Ungoliant pur di tenerli e sopportato di ustionarsi le mani per incastonarli nella propria corona. Quindi dovevano essere presenti nello stemma. Però assai meglio che dentro di quella, dove avrebbero perso di rilievo, si collocano in alto, là dove Sauron pone uno degli Anelli del Potere.


Infine l’iscrizione.

Sappiamo che il motto ben noto di Sauron, "ash nazgh durbatulûk … krimpatul", è scritto nella Lingua Nera, che si dice sia stata ideata proprio da lui durante la Seconda Era per farne l’idioma ufficiale del proprio reame.16 Quel “si dice” ci suggerisce però che potrebbe anche trattarsi d’una leggenda nata tra gli Uomini molto dopo che la Nirnaeth Arnoediad e gli sconvolgimenti della Guerra d’Ira avevano irrimediabilmente allontanato la loro cultura da quella elfica.


Possiamo quindi ipotizzare che, invece, la Lingua Nera preesistesse quale linguaggio di Angband, e che Sauron si sia limitato a riesumarla quale ulteriore simbolo dell’eredità di cui egli era unico e degno beneficiario.


Questo motto non è solo emblematico del Male, ma rappresenta anche una testimonianza linguistica praticamente unica nel suo genere. Dobbiamo quindi in qualche modo adottarlo, non soltanto perché Sauron, per le ragioni viste sopra, doveva verosimilmente averlo almeno in parte copiato, ma anche perché non siamo in grado di crearne uno molto diverso.


L’operazione però, che in apparenza è banale, ha in effetti giustificazioni molto più profonde.

Esaminiamo il rapporto con gli Elfi che avevano i due personaggi.


Proprio negli ultimi anni di Utumno si era verificato un evento in apparenza innocuo, che pure sconvolse Morgoth a tal punto da trascinarlo per due volte alla rovina: la loro nascita. Gli Elfi erano i Primogeniti di Eru e per gli scopi che Melkor s’era posto dovevano essere soggiogati, distrutti e sostituiti da creature costruite in loro scorno. Ma, proprio per proteggerli, i Valar salirono in forze contro di lui, distrussero la cittadella di Utumno, lo catturarono e lo umiliarono per tre ere. In questo modo il suo odio contro di loro crebbe ancora, e da quando riuscì a sfuggire e ritornare in Angband, ogni suo pensiero fu volto ad averne ragione ed a spazzarli via per sempre.


Sauron non aveva di queste motivazioni. Quando egli divenne il nuovo sovrano del Male, nella Seconda Era, gli Elfi s’erano ridotti a poca cosa, mentre il mondo era ormai dominato dai Secondogeniti, gli Uomini; la sua attenzione era quindi assai di più presa da questi ultimi. Gli Elfi per lui costituivano unicamente un incidente di percorso giacché, quali depositari di conoscenze antiche e superiori, potevano dimostrarsi utili o perniciosi per i suoi fini, a seconda del modo in cui fosse riuscito ad interfacciarsi con loro.


In effetti quindi, se Sauron avesse voluto vergare un motto originale per il proprio emblema, avrebbe potuto tranquillamente, e meglio, usare i caratteri in Lingua Nera, rappresentativi del suo reame di Mordor. Così sembra pure suggerirci Legolas quando, assieme ad Aragorn ed a Gimli, cerca di interpretare il senso della “S” runica sugli scudi degli Uruk-hay uccisi ad Amon-hen.17 L’Oscuro Signore non avrebbe avuto alcuna ragione di usare gli elfici tengwar salvo, proprio, che non l’avesse già fatto Melkor prima di lui.


Notiamo poi che quel motto ripete tre volte "ash nazgh”, che è bisillabo come Melkor.


Inoltre la parola “ash” significa Uno, che è il numero di Sauron; il fatto che in un’iscrizione rappresentativa l’uno venga ripetuto tre volte è contraddittorio ed appare quale una forzatura, come se si fosse operata una modifica. Mentre, al contrario, ciò sarebbe assolutamente appropriato per il nome di Melkor.


Ecco allora come ricostruisco fosse il motto originale:


Melkor durbatulûk, Melkor gimbatul, Melkor thrakatulûk, agh burzum-ishi krimpatul.


Ovvero, volendo dare un significato leggermente più esteso alla forma verbale: Melkor li dominerà tutti ("to rule them all"), Melkor li scoverà ("to find them"), Melkor li prenderà tutti quanti ("to bring them all") e li incatenerà nel buio ("in the darkness bind them").


Il messaggio pare alludere ai Silmaril, rappresentati proprio lì sopra (cosa di cui approfitterà Sauron nell'elaborare la propria versione, ponendovi la rappresentazione degli altri Anelli del Potere). Tuttavia l'uso dei caratteri elfici ci rivela a chi sia invece indirizzata la minaccia: agli Elfi. Melkor prevarrà su di essi, sulle loro creazioni e sulle loro città. Li scoverà e li prenderà uno ad uno, espugnandone i regni nascosti, facendo germinare tra di essi il seme del fratricidio; e tutti li farà schiavi nelle buie miniere di Angband, ovvero li condannerà all'interminabile ombra delle Aule di Mandos.


In questo modo, la scritta tengwar che ruota attorno al crepuscolo grigio di un'Arda ormai dominata dalla corona di Morgoth, pare quasi rappresentare il loro futile tentativo di sfuggirgli.

Il colore rosso, va da sé, sottolinea che la minaccia è mortale e senza appello.


Figura 4 – Ricostruzione dell’emblema di Morgoth al tempo di Angband.

Qualche precisazione sui simboli grafici scelti.


La scritta utilizza i caratteri autografi originali; li ho ricalcati con un programma di disegno e modificati per ottenere il testo alterato con la medesima calligrafia.


Anche i Silmaril sono quelli disegnati da J.R.R. Tolkien in uno dei sedici emblemi del Silmarillion; si veda la Figura 2, terzo da sinistra. Li ho semplicemente ricopiati, perché a differenza della scritta il loro tratto non si adatta allo stemma. Ovviamente sono capovolti, in segno di sfida e di scherno.

La corona invece è arbitraria, e non poteva essere altrimenti, giacché l’autore non l’ha mai rappresentata o descritta. Né può esserci d’aiuto il fatto che alla fine essa venne utilizzata per farne un collare con il quale incatenarlo: su questo tema esiste una bella illustrazione di Jean Umeres, “The Chaining of Melkor”,18 che dimostra come virtualmente ogni foggia di corona potesse divenire adatta allo scopo.


Piuttosto che disegnarne una io, ho preferito rendere onore al lavoro già svolto da altri ed ho scelto quella che mi è sembrato fosse la migliore.


Questa corona, che compare nel logo della pagina Facebook del progetto musicale Emyn Muil, è stata realizzata dall’illustratore e musicista Saverio Giove, in arte Nartum.19


Con il suo consenso l’ho però modificata leggermente perché conteneva, correttamente, anche i Silmaril. Ma questo avrebbe comportato una duplicazione all’interno dello stemma, mentre in araldica quello che conta è il simbolismo e non il realismo.


Figura 5 – Corona originale di Nartum.


Per finire, dallo stemma di Morgoth al tempo di Angband è possibile e facile risalire a quello precedente. È infatti sufficiente eliminare i tre Silmaril e l’iscrizione contro gli Elfi, che al tempo di Utumno non avevano ancora ragione di esistere.

Lo stemma si riduce così ad Arda (l’Anello di Morgoth) che circonda la corona del ghiaccio e dei monti.


Figura 6 – Ricostruzione dell’emblema di Morgoth al tempo di Utumno.






NOTE AL TESTO


1 Si vedano Symbols of Immortality: A Comparison of European and Elvish Heraldry (Margaret R. Purdy, in Mithlore # 9/1/31, 1982) e, soprattutto, Tolkiens Devices: The Heraldry of Middle-Earth (Jamie Mc Gregor, in Mithlore # 32/1/123, 2013).

2 Questa immagine si trova riprodotta in quasi tutte le edizioni del The Lord of the Rings.

3 Furono pubblicati dapprima nel Silmarillion Calendar del 1978, poi in Pictures By J.R.R. Tolkien (C. Tolkien, Houghton Mifflin Company, 1979).

4 L’annotazione è in Tolkien Papers, Bodleian Library; pubblicata anche in J.R.R. Tolkien Artist and Illustrator (W.G. Hammond e C. Scull, Houghton Mifflin Company, 1995).

5 Il disegno originale venne usato per la copertina della prima edizione del The Lord of the Rings (George Allen & Unwin, 1954).

6 The Letters of J.R.R. Tolkien, lettera n. 343.

7 Tolkien’s Devices: The Heraldry of Middle-Earth, op. cit.

8 Si rammentano qui l’albero di Gondor, l’occhio di Sauron, la mano di Saruman, il cavallo di Rohan, la luna con il teschio di Minas Morgul, il serpente nero in campo scarlatto degli Haradrim ed il cigno di Dol-amroth, tutti descritti nel The Lord of the Rings.

9 The Silmarillion cap. 18, Of the Ruin of Beleriand and the Fall of Fingolfin: “…and his vast shield, sable unblazoned, cast a shadow over him like a stormcloud.”

10 In The Children of Húrin, The Words of Húrin and Morgoth: “…Beyond the Circles of the World you shall not pursue those who refuse you.’ ‘Beyond the Circles of the World I will not pursue them,’ said Morgoth. ‘For beyond the Circles of the World there is Nothing. But within them they shall not escape me, until they enter into Nothing.’ ‘You lie,’ said Húrin. ‘You shall see and you shall confess that I do not lie,’ said Morgoth.”

11 The Letters of J.R.R. Tolkien, lettera n. 131: “Do not laugh! But once upon a time (my crest has long since fallen) I had a mind to make a body of more or less connected legend, ranging from the large and cosmogonic, to the level of romantic fairy-story-the larger founded on the lesser in contact with the earth, the lesser drawing splendour from the vast backcloths – which I could dedicate simply to: to England; to my country. It should possess the tone and quality that I desired, somewhat cool and clear, be redolent of our 'air' (the clime and soil of the North West, meaning Britain and the hither parts of Europe: not Italy or the Aegean, still less the East), and, while possessing (if I could achieve it) the fair elusive beauty that some call Celtic (though it is rarely found in genuine ancient Celtic things), it should be 'high', purged of the gross, and fit for the more adult mind of a land long now steeped in poetry. I would draw some of the great tales in fullness, and leave many only placed in the scheme, and sketched. The cycles should be linked to a majestic whole, and yet leave scope for other minds and hands, wielding paint and music and drama. Absurd.”

12 Un interessante riesame approfondito sulle figure di Morgoth e Sauron fatto dall’autore sul finire degli anni ’50 è in Morgoth’s Ring, Myths Tranformed, testi VI e VII. Si noti però che non tutti i concetti ivi espressi appaiono perfettamente compatibili con quelli che si evincono dagli altri scritti, che sono precedenti ed immensamente più corposi.

13 In una nota autografa di J.R.R. Tolkien pubblicata in Parma Eldalamberon #17 (ed. Christopher Gilson, 2007) si legge: “Sauron’s original name was Mairon, but this was altered after he was suborned by Melkor. But he continued to call himself Mairon the Admirable, or Tar-mairon ‘King Excellent’ until after the downfall of Númenor.”

14 Morgoth’s Ring, cit.

15 The Silmarillion, cap. 1, Of the Beginning of the Days.

16 The Lord of the Rings, Appendix F, Other races: “It is said that the Black Speech was devised by Sauron in the Dark Years, and that he bad desired to make it the language of all those that served him.

17 “Nay!” said Legolas. “Sauron does not use the Elf-runes.” The Two Towers, The Departure of Boromir.

18 L’immagine è pubblicata alla URL seguente: https://www.facebook.com/ArdaWorldOfTolkien/photos/a.871072133073017.1073741833.765941930252705/950809065099323/?type=3&theater

19 Il logo è pubblicato alla URL seguente: https://www.facebook.com/EmynMuil/